Il presente contributo si sofferma sulla rilevanza del D.Lgs. 231/2001 nell’ambito della disciplina delle cause di esclusione previste dal Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023).
Introduzione
La disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, introdotta dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito, D.Lgs. 231/2001), ha profondamente inciso sul sistema giuridico italiano, configurando un regime di responsabilità “para-penale” a carico delle persone giuridiche per reati commessi nel loro interesse o vantaggio da soggetti apicali o sottoposti.
Tale disciplina si è progressivamente intrecciata con la normativa in materia di contratti pubblici, in particolare con il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici, ora abrogato) e, più recentemente, con il D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (nuovo Codice dei contratti pubblici, di seguito D.Lgs. 36/2023 o nuovo Codice).
L’interazione tra la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti e quella relativa all’affidamento di contratti pubblici emerge in modo particolarmente rilevante nel contesto delle disposizioni del D.Lgs. 36/2023 che regolano le cause di esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici e che prevedono che la commissione, anche solo contestata, di reati presupposto ex D.Lgs. 231/2001 può incidere sulla moralità e affidabilità degli operatori economici, determinando l’esclusione dalle gare.
Il D.Lgs. 36/2023 ha razionalizzato e ampliato la disciplina delle cause di esclusione, distinguendo tra cause automatiche (art. 94) e non automatiche (art. 95).
Più in dettaglio, il D.Lgs. 36/2023 distingue tra cause di esclusione automatica, che operano ope legis senza margini di discrezionalità per la stazione appaltante, e cause di esclusione non automatica, che richiedono una valutazione discrezionale circa l’idoneità dell’illecito a incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore economico.
Le cause di esclusione automatica sono elencate all’art. 94 e comprendono, tra l’altro, la condanna definitiva o la sanzione interdittiva ex art. 9, comma 2, lett. c), D.Lgs. 231/2001. Le cause di esclusione non automatica, disciplinate all’art. 95, includono i gravi illeciti professionali, tra cui la contestata o accertata commissione in capo ai rilevanti esponenti aziendali di reati suscettibili di innescare una responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001, valutati secondo criteri di gravità, attualità e idoneità a compromettere l’affidabilità dell’operatore[1].
Quanto alla disciplina delle cause di esclusione, il D.Lgs. 36/2023 si pone in continuità e al contempo in evoluzione rispetto al D.Lgs. 50/2016.
Mentre il previgente art. 80 D.Lgs. 50/2016 accorpava in un’unica disposizione le cause di esclusione, il D.Lgs. 36/2023 le suddivide e le tipizza, recependo anche gli orientamenti giurisprudenziali e le linee guida ANAC che avevano già attribuito rilievo alle contestazioni di “reati 231” come possibili cause di esclusione[2].
Il D.Lgs. 231/2001, dal canto suo, nell’ottica di incentivare gli enti all’adozione di strumenti di compliance e favorire così la prevenzione di reati nel contesto aziendale, prevede come elemento che esclude la ricorrenza di una colpa d’organizzazione (cioè di quel difetto organizzativo interno all’ente che ha agevolato la commissione del reato e che rappresenta il fondamento della sua responsabilità) l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire i reati presupposto, la cui efficacia è ora valorizzata anche ai fini della partecipazione alle gare pubbliche, sia come strumento di prevenzione sia come misura di self-cleaning.
La dottrina ha ampiamente dibattuto sull’impatto del D.Lgs. 231/2001 nella contrattualistica pubblica, evidenziando sia le potenzialità sia le criticità del sistema. Da un lato, si sottolinea il valore della compliance e dei modelli organizzativi come strumenti di prevenzione e di ripristino dell’affidabilità, in linea con le esigenze di trasparenza e legalità del settore pubblico[3]. Dall’altro, si evidenziano i rischi di eccessiva discrezionalità amministrativa, di sovrapposizione normativa e di possibili violazioni dei principi costituzionali di presunzione di innocenza e diritto di difesa, specie in relazione alle cause di esclusione non automatiche fondate su mere contestazioni di reati[4].
Il dibattito si concentra anche sulla necessità di un coordinamento più efficace tra le diverse fonti normative e sull’opportunità di valorizzare la funzione “restorative” della compliance, evitando approcci meramente punitivi e favorendo la riammissione degli operatori che abbiano adottato misure idonee a prevenire il rischio di reiterazione degli illeciti[5].
In questa prospettiva si procederà di seguito ad analizzare la rilevanza del D.Lgs. 231/2001 nell’ambito della disciplina delle cause di esclusione di cui al D.Lgs. 36/2023.
1. Incidenza di condanne e misure cautelari ex D.Lgs. 231/2001 sui requisiti di moralità nel D.Lgs. 36/2023
Il D.Lgs. 36/2023 attribuisce rilievo centrale alle condanne e alle misure cautelari adottate nei confronti degli operatori economici ai sensi del D.Lgs. 231/2001, sia come cause di esclusione automatica sia come elementi sintomatici di gravi illeciti professionali.
L’art. 94, rubricato “Cause di esclusione automatica”, prevede che la condanna definitiva o il decreto penale di condanna irrevocabile per uno dei reati presupposto elencati nel medesimo art. 94, nonché l’applicazione di una sanzione interdittiva ex art. 9, comma 2, lett. c), D.Lgs. 231/2001 (divieto di contrattare con la pubblica amministrazione), comportino l’automatica esclusione dell’operatore economico dalla partecipazione alle procedure di affidamento[6].
Una novità di rilievo rispetto al D.Lgs. 50/2016 riguarda, invece, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento): nel nuovo Codice, infatti, essa non è più annoverata tra i provvedimenti giudiziari suscettibili di rilevare ai fini delle cause di esclusione automatica, salvo che sia applicata anche la pena accessoria del divieto di contrattare con la PA, coerentemente con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia) che ha limitato significativamente l’efficacia extrapenale della sentenza di patteggiamento.
Nella trama del nuovo Codice, invece, permane l’aporia legata alla equiparazione tra sentenza definitiva di condanna e decreto penale irrevocabile: questi provvedimenti, infatti, non sono sovrapponibili quanto alle tipologia dell’accertamento dei fatti, nel secondo caso la pronuncia del Giudice basandosi su un accertamento di tipo sommario della responsabilità del condannato che avviene senza un contraddittorio sul merito della contestazione, suscettibile di essere attivato solo in caso di opposizione (e dunque di rinuncia ai significativi benefici premiali proprio di tale rito alternativo). In tal modo, ad un diverso modulo di accertamento dei fatti consegue il medesimo effetto pregiudizievole per l’operatore economico, così marcandosi una discontinuità con quanto previsto dall’art. 651 del codice di procedura penale in merito all’efficacia delle pronunce penali di condanna in sede amministrativa (limitata a quelle pronunciate in esito a dibattimento o giudizio abbreviato) e venendo soprattutto introdotto un forte elemento di condizionamento della strategia difensiva.
Rispetto al D.Lgs. 50/2016, inoltre, il nuovo Codice amplia la platea dei soggetti rilevanti, includendo non solo le persone fisiche titolari di poteri di rappresentanza, ma anche l’operatore economico in quanto tale, con riferimento alle condanne e alle misure cautelari che lo colpiscono direttamente.
L’art. 94, comma 3, specifica che l’esclusione opera se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti dell’operatore economico ai sensi e nei termini del D.Lgs. 231/2001, nonché nei confronti dei soggetti apicali e di controllo individuati dalla norma.
Oltre alle condanne definitive, il D.Lgs. 36/2023 attribuisce rilievo anche alle misure cautelari reali o personali emesse dal giudice penale, nonché alle condanne non definitive, quali elementi idonei a integrare un grave illecito professionale e, quindi, a giustificare l’esclusione non automatica ai sensi degli artt. 95 e 98.
In particolare, ai sensi dell’art. 98 comma 3, “L’illecito professionale si può desumere al verificarsi di almeno uno dei seguenti elementi: (…) g) contestata commissione da parte dell’operatore economico, ovvero dei soggetti di cui al comma 3 dell’articolo 94 di taluno dei reati consumati o tentati di cui al comma 1 del medesimo articolo 94; h) contestata o accertata commissione, da parte dell’operatore economico oppure dei soggetti di cui al comma 3 dell’articolo 94, di taluno dei seguenti reati consumati: (…) 5) i reati previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231; (…)”.
In altri termini, ai fini dell’esclusione del concorrente per grave illecito professionale derivante da fattispecie di reato ex D.Lgs. 231/2001, l’illecito professionale potrà essere desunto non solo da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile ma anche con il mero atto di esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero[7].
In tal modo, la disciplina si uniforma agli orientamenti giurisprudenziali e alle linee guida ANAC[8], che già in passato avevano riconosciuto la rilevanza di tali provvedimenti ai fini della valutazione della moralità e affidabilità degli operatori economici.
Al riguardo sono state evidenziate alcune criticità connesse all’estensione delle cause di esclusione anche a provvedimenti non definitivi, sottolineando la necessità di garantire il rispetto dei principi di presunzione di innocenza e diritto di difesa. In particolare, si è rilevato che l’esclusione non può essere automatica in presenza di mere contestazioni o misure cautelari, ma deve essere preceduta da un contraddittorio con l’operatore economico e da una motivazione puntuale circa l’idoneità dei fatti a incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore[9].
La giurisprudenza amministrativa[10], in vigenza del D.Lgs. 50/2016, ha affermato l’obbligo per la stazione appaltante di motivare adeguatamente il provvedimento di esclusione, valutando caso per caso la gravità e attualità dell’illecito. Tale obbligo è stato ora codificato dall’art. 98, comma 7, del D.Lgs. 36/2023 secondo cui: “La stazione appaltante valuta i provvedimenti sanzionatori e giurisdizionali di cui al comma 6 motivando sulla ritenuta idoneità dei medesimi a incidere sull’affidabilità e sull’integrità dell’offerente; l’eventuale impugnazione dei medesimi è considerata nell’ambito della valutazione volta a verificare la sussistenza della causa escludente”.
L’incidenza delle condanne e delle misure cautelari[11] ex D.Lgs. 231/2001 sui requisiti di moralità nel D.Lgs. 36/2023 rappresenta una delle principali innovazioni del nuovo Codice, che rafforza la funzione preventiva e reputazionale della disciplina, ma impone al contempo un rigoroso rispetto delle garanzie procedurali e dei principi costituzionali, al fine di evitare esclusioni arbitrarie o sproporzionate.
2. I reati 231 come illecito professionale grave ai sensi del D.Lgs. 36/2023: i mezzi di prova
2.1. Il D.Lgs. 36/2023 ha introdotto una tipizzazione dei mezzi di prova necessari per la valutazione dell’illecito professionale grave.
L’art. 95 del D.Lgs. 36/2023 prevede che: “La stazione appaltante esclude dalla partecipazione alla procedura un operatore economico qualora accerti: (…) e) che l’offerente abbia commesso un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati. All’articolo 98 sono indicati, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi”.
L’art. 98, comma 6, in relazione alle fattispecie di cui alle lettere g) ed h) del precedente comma 3, elenca i mezzi di prova adeguati individuando: “quanto alla lettera g), gli atti di cui all’articolo 407-bis, comma 1, del codice di procedura penale, il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 429 del codice di procedura penale, o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, la sentenza di condanna non definitiva, il decreto penale di condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale; h), la sentenza di condanna definitiva, il decreto penale di condanna irrevocabile, e la condanna non definitiva, i provvedimenti cautelari reali o personali, ove emessi dal giudice penale. tra cui la sentenza di condanna definitiva, il decreto penale di condanna irrevocabile, la condanna non definitiva e i provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale”.
Si tratta, a prima vista, di una casistica molto ampia e che riconduce ad unità provvedimenti tra loro eterogenei, che spesso non garantiscono un accertamento pieno dei fatti.
Si pensi all’art. 407-bis, primo comma, c.p.p. che menziona l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, sicché la richiesta di rinvio a giudizio per uno dei reati di cui all’art. 94, comma 1, del D.Lgs. 36/2023 risulta, secondo quanto espressamente stabilito dal legislatore, un mezzo di prova in linea di principio adeguato ai fini della dimostrazione della commissione del grave illecito professionale[12]. Ipotesi, sia consentito, quantomeno problematica, essendo gli atti di esercizio dell’azione penale il mero riflesso del convincimento di una parte processuale – il PM – non ancora scrutinati da un giudice.
Tuttavia, i reati presupposto individuati dal D.Lgs. 231/2001 coincidono solo in parte con quelli elencati al comma 1 dell’art. 94 del D.Lgs. 36/2023 (ad esempio, non sono ricompresi in quest’ultimo talune significative ipotesi delittuose di natura societaria come l’ostacolo all’esercizio delle autorità pubbliche di vigilanza e diversi reati ambientali, pure rilevanti ai sensi dell’art. 25-ter e 25-undecies D.Lgs. 231/2001).
Per i reati presupposto individuati dal D.Lgs. 231/2001 non coincidenti con quelli elencati nel predetto art. 94, quindi, la richiesta di rinvio a giudizio non potrebbe costituire mezzo di prova adeguato ai sensi dell’art. 98, comma 6, lett. h) D.Lgs. 36/2023[13]. Ugualmente, per tali reati non dovrebbe costituire mezzo di prova adeguato la sentenza di patteggiamento, atteso che l’art. 98, comma 6, lett. h) del D.Lgs. 36/2023 non richiama la sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale[14].
2.2. In altri termini, il D.Lgs. 36/2023 codifica il principio secondo cui il grave illecito professionale collegato ai reati elencati all’art. 94, comma 1, possa essere desunto anche dal solo esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero. Non è quindi necessario attendere nemmeno il decreto che dispone il giudizio ex art. 429 c.p.p. Tuttavia, la stazione appaltante deve sempre motivare in modo puntuale sull’idoneità del contenuto di tali atti del pubblico ministero a incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore economico, ciò alla luce del principio di presunzione d’innocenza di cui all’art. 27 Cost.
Anche l’adozione di misure cautelari, sia reali (ad esempio, sequestro preventivo) sia personali (ad esempio, arresti domiciliari, interdizione temporanea), può essere utilizzata come mezzo di prova dell’illecito professionale grave. La rilevanza di tali provvedimenti è stata confermata dalla giurisprudenza amministrativa, che ha riconosciuto la legittimità dell’esclusione dalla gara in presenza di misure cautelari applicate ai vertici dell’operatore economico per reati rilevanti ai fini 231[15].
Anche in questo caso, la stazione appaltante è tenuta a valutare in concreto la gravità dei fatti e la loro incidenza sull’affidabilità dell’impresa, nel rispetto del contraddittorio.
La sentenza di condanna definitiva rappresenta il mezzo di prova più solido e tradizionale, ma il nuovo Codice attribuisce rilevanza anche alle condanne non definitive. In particolare, la condanna in primo grado, il decreto penale di condanna non irrevocabile e la sentenza di patteggiamento non irrevocabile (ed ovviamente anche quella ormai irrevocabile, anche se l’art. 98, comma 6, lett. g) del D.Lgs. 36/2023 richiama solo la sentenza non irrevocabile) possono essere utilizzati come base per la valutazione dell’illecito professionale grave.
La stazione appaltante deve comunque motivare la propria decisione, tenendo conto dell’eventuale impugnazione e del predetto principio di presunzione di innocenza.
2.3. Il nuovo Codice impone alla stazione appaltante un obbligo stringente di motivazione: il provvedimento di esclusione deve essere fondato su tutti e tre i presupposti previsti dall’art. 98, comma 2, ossia (i) elementi sufficienti ad integrare il grave illecito, (ii) idoneità del fatto a incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore, (iii) adeguati mezzi di prova. La motivazione deve essere specifica e non può limitarsi a un mero rinvio al contenuto degli atti valutati, ma deve esplicitare le ragioni per cui tali atti incidono sulla posizione dell’operatore economico.
Inoltre, la procedura deve essere preceduta da un effettivo contraddittorio con l’impresa, che ha diritto di presentare le proprie difese e di illustrare eventuali misure di self-cleaning adottate.
L’ampia tipizzazione dei mezzi di prova, se da un lato rafforza la tutela della legalità e la prevenzione dei rischi nella contrattualistica pubblica, dall’altro impone un rigoroso rispetto del principio di presunzione di innocenza e del diritto di difesa. L’esclusione non può essere automatica, ma deve essere sempre il risultato di una valutazione discrezionale e motivata.
La disciplina dei mezzi di prova dell’illecito professionale grave nel D.Lgs. 36/2023 impone agli operatori economici di monitorare costantemente la propria posizione giudiziaria e di predisporre una documentazione aggiornata e trasparente. È fondamentale instaurare un dialogo tempestivo e collaborativo con la stazione appaltante, fornendo tutte le informazioni utili a dimostrare l’affidabilità dell’impresa e l’efficacia delle misure di self-cleaning eventualmente adottate.
3. Durata delle cause di esclusione nel D.Lgs. 36/2023
Il D.Lgs. 36/2023 introduce una disciplina dettagliata sulla durata degli effetti delle cause di esclusione dalle gare pubbliche, con l’obiettivo di garantire certezza giuridica e proporzionalità tra la gravità dell’illecito e la sanzione amministrativa dell’esclusione. La previsione di limiti temporali risponde anche all’esigenza di evitare che fatti risalenti nel tempo, non più rappresentativi dell’attuale affidabilità dell’operatore economico, possano precludere indefinitamente l’accesso al mercato degli appalti pubblici.
Per le cause di esclusione automatica, disciplinate dall’art. 94 del D.Lgs. 36/2023, la durata dell’effetto escludente è generalmente collegata alla permanenza della condizione ostativa. Ad esempio, la condanna definitiva per i reati elencati comporta l’esclusione fino a quando non intervenga la riabilitazione, la depenalizzazione del reato, la dichiarazione di estinzione della pena accessoria o la revoca della condanna.
In dettaglio, l’art. 94, comma 8, prevede che l’esclusione non si applica quando il reato è stato depenalizzato, è intervenuta la riabilitazione, la pena accessoria perpetua è stata dichiarata estinta, il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna o la condanna è stata revocata. In caso di sanzione interdittiva ex art. 9, comma 2, lett. c), D.Lgs. 231/2001, l’effetto escludente permane per tutta la durata della sanzione, sia essa temporanea o definitiva (in tema di durata della pena accessoria d’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione si vedano anche le previsioni dell’art. 96, comma 8, D.Lgs. 36/2023).
Per le cause di esclusione non automatica, in particolare per il grave illecito professionale di cui all’art. 95, comma 1, lett. e) e all’art. 98, D.Lgs. 36/2023, il legislatore ha introdotto un limite temporale preciso.
L’art. 96, comma 10, stabilisce che la causa di esclusione non automatica rileva per tre anni decorrenti da specifici momenti, a seconda della natura del provvedimento che ha dato origine alla situazione escludente: (i) dalla data di emissione di uno degli atti di esercizio dell’azione penale (ad esempio, rinvio a giudizio ex art. 429 c.p.p., richiesta di decreto penale di condanna, provvedimenti cautelari personali o reali) se la situazione escludente consiste in un illecito penale rientrante tra quelli valutabili ai sensi dell’art. 94, comma 1, o dell’art. 98, comma 3, lett. h); (ii) dalla data del provvedimento sanzionatorio irrogato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato o da altra autorità di settore, se la situazione escludente discende da tale atto; (iii) dalla data della commissione del fatto in tutti gli altri casi.
Il termine triennale decorre, quindi, da eventi ben individuati e non dalla mera conoscenza del fatto da parte della stazione appaltante.
In particolare, per i reati 231, la decorrenza è ancorata alla data di emissione dell’atto di esercizio dell’azione penale o del provvedimento cautelare, se antecedente. Questo meccanismo garantisce trasparenza e consente agli operatori economici di conoscere con certezza il periodo di rilevanza della causa di esclusione.
Trascorso il termine triennale, il grave illecito professionale perde la propria capacità escludente, salvo che non intervengano nuovi fatti o provvedimenti rilevanti.
La disciplina della durata si intreccia con la possibilità per l’operatore economico di adottare misure di self-cleaning (art. 96, commi 3-6), che, se ritenute sufficienti e tempestive dalla stazione appaltante, possono interrompere anticipatamente l’effetto escludente, consentendo la partecipazione alla gara anche in vigenza del termine triennale di rilevanza.
Il rispetto del termine triennale e la corretta individuazione della decorrenza sono oggetto di verifica da parte della stazione appaltante, che deve motivare puntualmente la sussistenza della causa di esclusione e la sua attualità, nel rispetto del contraddittorio con l’operatore economico. L’operatore ha diritto di dimostrare che il termine è decorso o che sono intervenute cause di estinzione, riabilitazione o self-cleaning.
La previsione di limiti temporali per la durata delle cause di esclusione nel D.Lgs. 36/2023 rappresenta un importante presidio di proporzionalità e tutela della libertà di iniziativa economica.
4. La procedura di self-cleaning: strumenti, requisiti, tempistica e valutazione
4.1. Le misure di self-cleaning rappresentano l’insieme delle misure che l’operatore economico può adottare per dimostrare la propria affidabilità e prevenire l’esclusione dalle gare pubbliche, anche in presenza di cause ostative. Il D.Lgs. 36/2023, in linea con la Direttiva 2014/24/UE, amplia la portata della self-cleaning, consentendo all’operatore di intervenire sia prima sia dopo la presentazione dell’offerta, purché entro l’aggiudicazione.
Le misure di self-cleaning devono essere concrete, tempestive e idonee a prevenire ulteriori reati o illeciti.
L’art. 96, comma 6, del D.Lgs. 36/2023 elenca le principali azioni che l’operatore economico deve dimostrare di aver adottato: (i) risarcimento o impegno a risarcire il danno causato dal reato o illecito; (ii) collaborazione attiva con le autorità investigative, chiarendo i fatti e le circostanze; (iii) adozione di provvedimenti tecnici, organizzativi e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti, tra cui l’adozione e l’efficace attuazione di un modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001.
La stazione appaltante valuta la sufficienza e la tempestività delle misure di self-cleaning adottate, tenendo conto della gravità e delle particolari circostanze dell’illecito, nonché delle modifiche intervenute nell’organizzazione dell’impresa. La valutazione deve avvenire nel contraddittorio con l’operatore economico e deve essere adeguatamente motivata, soprattutto in presenza di provvedimenti non definitivi.
L’adozione e l’efficace attuazione di un modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001 costituisce uno degli strumenti principali di self-cleaning, in quanto dimostra la volontà dell’ente di prevenire la commissione di reati e di riorganizzare la propria struttura interna per garantire legalità e trasparenza.
L’operatore economico ha l’onere di comunicare tempestivamente alla stazione appaltante sia la causa di esclusione sia l’avvenuta adozione delle misure di self-cleaning. Se le misure sono ritenute sufficienti, l’operatore non è escluso dalla procedura; in caso contrario, la stazione appaltante deve motivare le ragioni dell’esclusione.
Le Linee Guida ANAC, in particolare la n. 6, rappresentano un riferimento utile per la valutazione delle misure di self-cleaning adottate dagli operatori economici.
Tali linee guida, recepite anche dal D.Lgs. 36/2023, specificano che, oltre al risarcimento del danno e alla collaborazione con le autorità, sono considerate misure idonee a evitare l’esclusione: (i) l’adozione e l’efficace attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; (ii) l’affidamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curarne l’aggiornamento; (iii) la dimostrazione che il fatto è stato commesso eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e gestione o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo.
Questi criteri sono stati ulteriormente dettagliati, richiedendo che il Modello 231 sia non solo formalmente adottato, ma anche effettivamente attuato e aggiornato, con particolare attenzione alla formazione del personale, alla rinnovazione degli organi societari e all’introduzione di sistemi di monitoraggio e whistleblowing[16].
La procedura di self-cleaning, per essere conforme ai principi di legalità e trasparenza, deve svolgersi nel pieno rispetto del contraddittorio. La stazione appaltante è tenuta a instaurare un dialogo effettivo con l’operatore economico, consentendogli di illustrare le misure adottate e di fornire ogni elemento utile a dimostrare la propria affidabilità.
La decisione finale, sia essa di ammissione o di esclusione, deve essere adeguatamente motivata, con riferimento: (i) alla gravità e alle circostanze dell’illecito; (ii) alla tempestività e idoneità delle misure adottate; (iii) all’effettiva riorganizzazione dell’impresa e all’efficacia del Modello 231 implementato.
La motivazione deve essere puntuale e specifica, soprattutto quando la causa di esclusione si fonda su provvedimenti non definitivi o su mere contestazioni, in modo da garantire il rispetto del diritto di difesa e della presunzione di innocenza.
4.2. Viene così valorizzata la funzione della c.d. restorative compliance. La nozione di restorative compliance si riferisce alla riorganizzazione dell’impresa successiva alla contestazione o alla condanna per un illecito amministrativo dipendente da reato.
Sebbene il D.Lgs. 36/2023 non imponga un obbligo generalizzato di dotarsi di un Modello 231, la sua presenza rappresenta un elemento di primaria importanza nella valutazione dell’affidabilità dell’operatore economico.
In particolare, la stazione appaltante deve valutare se il Modello 231 sia stato effettivamente implementato, se sia stato affidato a un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, e se siano state adottate misure di formazione, monitoraggio e aggiornamento coerenti con la natura e la gravità dell’illecito contestato.
L’efficacia del Modello 231 come misura di self-cleaning è rafforzata dalla dimostrazione che il fatto illecito sia stato commesso eludendo fraudolentemente il modello stesso o che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo.
4.3. Come detto, il D.Lgs. 36/2023 amplia il perimetro temporale entro cui le misure di self-cleaning possono essere adottate e comunicate.
Se la causa di esclusione sorge prima della presentazione dell’offerta, l’operatore economico deve dichiarare e documentare le misure adottate già in sede di domanda di partecipazione o, alternativamente, comprovare l’impossibilità di adottare le misure di self-cleaning prima della presentazione dell’offerta e successivamente implementarle (cfr. art. 96, comma 3, D.Lgs. 36/2023).
Se, invece, la causa di esclusione interviene successivamente, le misure di self-cleaning possono essere adottate e comunicate anche dopo la presentazione dell’offerta, purché ciò avvenga prima dell’aggiudicazione della commessa[17].
Questa flessibilità consente all’operatore economico di intervenire tempestivamente per sanare la propria posizione e dimostrare la rinnovata affidabilità.
5. Incentivi normativi alla funzione di compliance: la riduzione dell’importo delle garanzie, rating d’impresa e rating di legalità
5.1. Il D.Lgs. 36/2023 prevede alcuni incentivi normativi per gli operatori economici che adottano modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001, tra cui la riduzione dell’importo delle garanzie richieste per la partecipazione alle gare.
In particolare, l’art. 106, comma 8, del nuovo Codice prevede che le imprese in possesso delle certificazioni di cui all’Allegato II.13, tra cui l’attestazione del modello organizzativo 231, possano beneficiare di una riduzione fino al 20% dell’importo della garanzia.
5.2. Il nuovo Codice degli appalti valorizza anche l’integrazione tra Modello 231 e il c.d. “rating di legalità”, come strumenti sinergici per la promozione della legalità e della trasparenza nel settore degli appalti pubblici.
In particolare, il rating di legalità è uno strumento introdotto nell’ordinamento italiano per promuovere comportamenti etici e trasparenti da parte delle imprese, con particolare riferimento alla prevenzione dei fenomeni corruttivi e alla valorizzazione della responsabilità sociale d’impresa.
Istituito dall’art. 5-ter del d.l. 1/2012, convertito dalla l. 62/2012, e disciplinato dal Regolamento attuativo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) [18], il rating di legalità si configura come un indicatore reputazionale che attribuisce un punteggio (da una a tre “stellette”) alle imprese che rispettano determinati requisiti di legalità e trasparenza.
Ai fini dell’attribuzione del rating di legalità, è prevista l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo alle imprese che adottano modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati previsti dal D.Lgs. 231/2001[19].
Il sistema di rating si basa su una serie di dichiarazioni e verifiche relative all’assenza di condanne o misure cautelari per reati gravi, tra cui quelli previsti dal D.Lgs. 231/2001, nonché sull’adozione di modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire tali reati. Il possesso del rating di legalità è riconosciuto come elemento premiale sia nell’accesso al credito bancario sia nei rapporti con la pubblica amministrazione, in particolare nell’ambito delle procedure di appalto pubblico.
Per ottenere il rating di legalità, l’impresa deve dimostrare l’assenza di condanne definitive o misure cautelari nei confronti dei propri rappresentanti (amministratori, direttori generali, procuratori, ecc.) per reati di particolare gravità, inclusi quelli del catalogo 231. Inoltre, per accedere a valutazioni più elevate (fino a tre “stellette”), è richiesta l’adozione di una funzione o struttura organizzativa, anche in outsourcing, che assicuri il controllo di conformità delle attività aziendali alle norme applicabili, oppure di un modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001[20].
Il mantenimento del rating è subordinato alla permanenza dei requisiti dichiarati: la perdita di uno di essi comporta la revoca del rating da parte dell’AGCM. Il sistema prevede inoltre controlli incrociati con i dati delle amministrazioni pubbliche e la possibilità di incrementare il punteggio base attraverso l’adozione di ulteriori misure di compliance, come la certificazione di sistemi di gestione per la prevenzione della corruzione (ISO 37001) o per la certificazione del sistema di gestione della conformità,(ISO 37301).
Il possesso di un Modello 231 aggiornato e correttamente attuato costituisce un elemento premiale sia ai fini della riduzione delle garanzie da prestare sia nell’attribuzione del rating di legalità, che rappresenta un indice reputazionale il cui effettivo rilievo ed attualità, nell’ambito delle previsioni di cui al D.Lgs. 36/2023, è però depotenziato dall’abrogazione[21] dell’art. 109 (reputazione dell’impresa) del D.Lgs. 36/2023.
5.3. Allo stesso modo, il rating d’impresa, che era gestito dall’ANAC, teneva conto della presenza di sistemi di compliance, della regolarità contributiva, della reputazione e dell’assenza di sanzioni, premiando le imprese virtuose e incentivando la diffusione di buone pratiche organizzative.
Infatti, originariamente, il D.Lgs. 50/2016 prevedeva anche l’integrazione tra Modello 231 ed il c.d. rating d’impresa previsto dagli artt. 83, comma 10 (Criteri di selezione e soccorso istruttorio); 95, comma 13 (Criteri di aggiudicazione dell’appalto) e 213, comma 10 (Autorità nazionale anticorruzione).
Queste disposizioni non hanno però avuto concreta attuazione. Il regime è stato poi rivisto e semplificato dall’art. 109 (reputazione d’impresa) del D.Lgs. 36/2023, che, come accennato, è stato poi abrogato.
6. Conclusioni
L’analisi condotta evidenzia come il D.Lgs. 231/2001 abbia assunto un ruolo centrale e trasversale nella disciplina delle cause di esclusione dalle gare pubbliche introdotta dal D.Lgs. 36/2023. La riforma ha operato una netta distinzione tra cause di esclusione automatica (art. 94) e non automatica (art. 95), ampliando e sistematizzando le ipotesi in cui la responsabilità amministrativa degli enti per reati presupposto ex D.Lgs. 231/2001 può incidere sulla partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica.
Il D.Lgs. 36/2023 valorizza la funzione del Modello 231 sia in chiave preventiva (come requisito reputazionale e premiale, ad esempio nella riduzione delle garanzie fideiussorie e nell’attribuzione del rating di legalità), sia in chiave rimediale (self-cleaning), consentendo all’operatore economico di dimostrare la propria affidabilità anche a seguito di contestazioni o condanne per reati presupposto.
Tuttavia, permangono alcune criticità e zone d’ombra. Da un lato, la disciplina delle cause di esclusione non automatica attribuisce un ampio margine di discrezionalità alla stazione appaltante, la quale deve tuttavia motivare in modo puntuale la propria decisione, garantendo il contraddittorio e il rispetto dei principi di presunzione di innocenza e diritto di difesa. Dall’altro, la mancanza di un obbligo normativo di adozione del Modello 231 lascia alle imprese la scelta, seppur fortemente incentivata, di dotarsi di strumenti di compliance, con il rischio di una non omogenea applicazione delle best practice.
Inoltre, la sovrapposizione di fonti (norme penali, amministrative, linee guida ANAC, soft law) e la pluralità di soggetti coinvolti (operatori economici, amministrazioni aggiudicatrici, autorità di vigilanza) rendono il quadro applicativo complesso e suscettibile di interpretazioni non sempre uniformi, con possibili ricadute sul piano della certezza del diritto e della tutela degli interessi economici e pubblici.
Le prospettive applicative della disciplina integrata tra D.Lgs. 231/2001 e D.Lgs. 36/2023 sono caratterizzate da una crescente attenzione alla compliance come leva strategica per la prevenzione dei rischi, la promozione della trasparenza e la valorizzazione della reputazione aziendale.
L’adozione di Modelli 231 efficaci e costantemente aggiornati rappresenta oggi un fattore competitivo imprescindibile per le imprese che intendono operare nel settore degli appalti pubblici, non solo per evitare l’esclusione, ma anche per accedere a benefici concreti (riduzione delle garanzie, punteggi premiali, miglioramento del rating di legalità).
Alla luce delle novità introdotte dal D.Lgs. 36/2023 risulta quindi quantomai opportuno che gli operatori economici provvedano a: (i) adottare e mantenere costantemente aggiornato un Modello 231, calibrato sulle specificità aziendali e sulle aree di rischio effettive; (ii) documentare in modo puntuale tutte le misure adottate, anche attraverso report periodici e audit interni; (iii) promuovere una cultura aziendale della legalità e della trasparenza, coinvolgendo attivamente il personale e gli organi di controllo; (iv) monitorare costantemente le evoluzioni normative e le linee guida ANAC, adeguando tempestivamente le procedure interne; (v) instaurare un dialogo proattivo con la stazione appaltante in caso di contestazioni, fornendo tutte le informazioni e i documenti necessari a dimostrare l’affidabilità e l’integrità dell’impresa.
[1] Bertolani, R., Cause di esclusione relative ai reati di cui al d.lgs. 231/2001, in Appalti e contratti, 26 aprile 2024.
[2] Iacobelli, G., Art. 95 e 98, d.lgs. riforma codice appalti, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti – 2/2023, p. 73 e ss.
[3] Di Pietro, R. e Sarno, S., Modello 231 Self-Cleaning in materia di appalti pubblici, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti – 1/2024, p. 71 e ss.
[4] Salvatore, A., Responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 e nuovo Codice degli appalti: difetti di raccordo e di coordinamento in un contesto già problematico, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2016, p. 50;
[5] Tarricone, L. e Bonsegna, M., Il nuovo Codice degli Appalti: le contestazioni di illeciti ex d.lgs. 231/2001 come motivo di esclusione, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti – 2/2023, p. 59 e ss.
[6] L’ANAC con il parere di cui alla deliberazione n. 9 del 14 gennaio 2025 ha chiarito che: “nel caso in cui la sanzione interdittiva sia stata irrogata con sentenza, ai fini della produzione dell’esclusione automatica dalle procedure di gara, è necessario che la condanna penale sia definitiva ed esecutiva. Tale presupposto, pur non essendo esplicitato nella lettera dell’art. 94, comma 5, lett. a) del codice (che testualmente richiama la “sanzione interdittiva di cui all’art. 9, comma 2, lett. c)” del d.lgs. n. 231/2001) si desume in via sistematica da diversi elementi. Al riguardo, occorre considerare che l’art. 650 c.p.p. (applicabile anche a tali condanne alla luce del rinvio al c.p.p. operato dall’art. 34 del d.lgs. n. 231/2001) attribuisce forza esecutiva alle sentenze e ai decreti penali irrevocabili, per cui, in mancanza di provvedimenti cautelari esecutivi, la condanna in primo grado dell’ente non può essere intesa come definitiva ed esecutiva, anche per quanto riguarda la sanzione interdittiva a carico della società (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. V, 27 maggio 2024, n. 1985). Tale principio generale trova conferma nell’art. 77, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001 (parzialmente derogatorio dell’art. 662 c.p.p.), secondo cui “Ai fini della decorrenza del termine di durata delle sanzioni interdittive si ha riguardo alla data della notificazione” della sentenza all’ente a cura del pubblico ministero; per cui, solo in seguito alla notificazione della sentenza avente forza esecutiva da parte del P.M., la sanzione interdittiva può esplicare i suoi effetti e determinare la sanzione espulsiva automatica dalle procedure di gara ricadenti nell’intervallo di efficacia temporale della sanzione. Inoltre, sotto un profilo sistematico, si osserva che anche l’art. 96, comma 8, del d.lgs. n. 36/2023, nel dettare le regole residuali da seguire per la determinazione della rilevanza temporale della pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la p.a. (nel caso in cui non sia fissata dalla sentenza), fa riferimento alla “sentenza penale di condanna definitiva”.
[7] In vigenza del D.Lgs. 50/2016 l’ANAC con parere n. 35/2023 aveva chiarito che “può formare oggetto di valutazione, da parte della stazione appaltante, come grave illecito professionale ex art. 80, comma 5 del Codice, anche la pendenza di indagini penali o il rinvio a giudizio del legale rappresentante della società (delibera n. 1050/2020), o anche il caso in cui il legale rappresentante o socio di maggioranza della società aggiudicataria sia destinatario di una misura cautelare interdittiva (divieto temporaneo di contrattare con la Pubblica Amministrazione) (delibera n. 146/2022 – PREC 27/2022/L). Tali circostanze, astrattamente integranti fattispecie di “grave illecito professionale” in capo all’operatore economico, devono formare oggetto di valutazione in concreto da parte della stazione appaltante (delibera Anac n. 146/2022 cit. e parere Funz Cons 54/2022).
Anche la giurisprudenza amministrativa ha espresso avviso conforme a quello sopra indicato (ex multis Cons. Stato n. 1367/2019, n. 6615/2020), aggiungendo – per quanto di interesse ai fini del parere – che «…il decreto di rinvio a giudizio (cui va equiparato il caso di citazione a giudizio) rileva ai fini dell’esclusione discrezionale a condizione che sia relativo a condotte tenute nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto, di modo che essa costituisca “vicenda professionale” suscettibile di essere qualificata come “grave illecito professionale” e purché sia riferibile ad uno dei soggetti elencati all’art. 80, comma 3, del codice dei contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 maggio 2021, n. 3772 e 29 ottobre 2020, n. 6615)» (Cons. di Stato, sez. V, n. 3107/2022).
[8] Cfr. Linee guida 6 dell’ANAC., di attuazione del D.Lgs. 50/2016, recanti «Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice.
[9] Bertolani, 2024, cit. p. 1; Iacobelli, 2023, cit. La giurisprudenza ritiene che il legislatore ha, invero, escluso ogni forma di automatismo fra i provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria (ancorché di natura non giurisdizionale) e le determinazioni della stazione appaltante, con la conseguenza che, come più volte affermato dalla giurisprudenza (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, V, 19 agosto 2024, n. 3858), l’Amministrazione, nel disporre l’esclusione da una procedura di affidamento per grave illecito professionale basata sul provvedimento di rinvio a giudizio per uno dei reati di cui all’art. 94 del D.Lgs. 36/2023, è tenuta ad attivare il contraddittorio procedimentale, all’esito del quale possono in ipotesi emergere circostanze tali da indurre l’Amministrazione medesima a non condividere la valutazione – preliminare, sotto un profilo processuale – del pubblico ministero (cfr. TAR Catania, 07.10.2024 n. 3300).
[10] Cons. Stato, Sez. III, 29 novembre 2018, n. 6786; Cons. Stato 23 agosto 2018, n. 5040; Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592; Cons Stato, 3 aprile 2018, n. 2063; Cons. Stato, 2 marzo 2018, n. 1299; Cons. Stato, 4 dicembre 2017, n. 5704.
[11] Già in vigenza del D.Lgs. 50/2016 la Sezione Terza del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4111 depositata il 7 maggio 2024 ha affermato che la causa di esclusione automatica di cui all’art. 80, comma 5, lettera f), D.Lgs. n. 50/2016 opera anche in relazione a misure interdittive aventi natura cautelare e non solo per quelle definitive. Quanto, invece, alle ricadute che la misura interdittiva determina sulla procedura di evidenza pubblica, la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, n. 4732/2022, 8558/2022 e 560/2023) ha stabilito che la sopravvenuta inefficacia della misura interdittiva non ha portata retroattiva, con la conseguenza che la sua sospensione ed eventuale revoca non eliminano gli effetti preclusivi prodotti, nelle more, sui rapporti e sulle gare in corso.
[12] Cfr. Tar Sicilia, Catania, Sez. II, 07/10/2024, n. 3300. Secondo certa giurisprudenza formatasi in vigenza del D.Lgs. 50/2016, il decreto di rinvio a giudizio rileva ai fini dell’esclusione discrezionale a condizione che sia relativo a condotte tenute nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto, di modo che essa costituisca “vicenda professionale” suscettibile di essere qualificata come “grave illecito professionale” e purché sia riferibile ad uno dei soggetti elencati all’art. 80, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016, ora art. 94, comma 3, D.Lgs 36/2023 (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 22 aprile 2022, n. 310 -; Consiglio di Stato, Sezione V, 13 maggio 2021, n. 3 e 29 ottobre 2020, n. 6615).
[13] L’ANAC nel parere reso con delibera n. 9 del 14 gennaio 2025 ha affermato che: “In caso di sentenza di condanna non definitiva, la stazione appaltante deve valutare il reato-presupposto ex d.lgs. n. 231/2001, nell’ambito del grave illecito professionale, ai sensi del combinato disposto dell’art. 98, comma 3, lett. h), n. 5) e comma 6, lett. h), del codice che annettono rilevanza, anche a carico dell’operatore economico ex d.lgs. 231/2001, alla contestata o accertata commissione dei reati-presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente, indipendentemente dall’applicazione di sanzioni interdittive”.
[14] Per completezza, è utile segnalare una evidente aporia relativa al delitto di false comunicazioni sociali ex art. 2622 cod. civ. contemplato sia dall’art. 98, comma 3, lett. g) del D.Lgs. 36/2023 (mediante il rinvio ai reati elencati al comma 1 dell’art. 94), sia dalla successiva lett. h), n. 3) della medesima disposizione, che fa espresso riferimento ai delitti societari di cui agli articoli 2621 e seguenti del codice civile. Questo pone un problema interpretativo perché relativamente ai “mezzi di prova” il successivo comma 6 del medesimo art. 98 distingue i mezzi di prova utilizzabili per le fattispecie di cui al comma 3 lett. g) e quelle di cui al comma 3, lett. h). Conseguentemente, se si ritiene che la previsione della lettera g) prevalga sulla previsione della lett. h), il decreto di rinvio a giudizio per il reato in questione sarebbe mezzo di prova valutabile. Viceversa, se si ritiene che la previsione della lett. h) prevalga sulla previsione della lettera g), allora il decreto di rinvio a giudizio non sarebbe mezzo di prova valutabile e sarebbe valutabile solo la sentenza di condanna definitiva. La sentenza di condanna definitiva per il reato di cui trattasi determinerebbe però una causa di esclusione automatica ai sensi dell’art. 94, comma 1, del D.Lgs. 36/2023, con la conseguenza che tale sentenza rileverebbe sia per l’applicazione della più grave sanzione dell’esclusione c.d. “automatica”, sia per l’applicazione dell’esclusione c.d. “non automatica”. Un’interpretazione costituzionalmente orientata dal principio di ragionevolezza e non contraddizione dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost. porta quindi a ritenere che – pur in presenza di un dato normativo testualmente ambiguo – sia possibile ritenere che prevalga la previsione di cui alla predetta lett. g) e dunque che il decreto di rinvio a giudizio per il reato in questione sia mezzo di prova astrattamente valutabile ai fini dell’eventuale sussistenza del grave illecito professionale. Al riguardo il Supporto Giuridico del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti ha reso il parere n. 3621 del 23 giugno 2025, rinvenibile all’indirizzo https://www.serviziocontrattipubblici.org/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/3621. Tale parere, tuttavia, non appare in alcun modo risolvere l’evidente difetto di coordinamento tra i diversi commi dell’art. 98 del D.Lgs. 36/2023.
[15] Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1367.
[16] Pecorario, L. Il Modello 231 trova ulteriore ed autonoma ragione d’essere nel nuovo Codice degli appalti: da elemento «accidentale» e di punteggio nel rating di legalità a elemento «costitutivo» e reputazionale ai fini dell’attribuzione del rating di impresa, in Rivista 231, 2016.
[17] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 25 agosto 2023, n. 7949. La normativa europea (art. 57, paragrafo 6 e considerando 102 della direttiva 2014/24) di riferimento non stabilisce in quale fase della procedura di gara debba essere fornita la prova delle misure correttive adottate dall’operatore economico. Le norme sopra richiamate, riconoscendo all’operatore economico la possibilità di fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per prevenire ulteriori illeciti, intendono infatti sottolineare l’importanza attribuita al requisito dell’affidabilità morale e professionale, nonché a garantire una valutazione obiettiva degli operatori economici e una concorrenza effettiva fra gli stessi. Tali obiettivi possono essere raggiunti solo ove l’operatore economico sia ammesso a provare l’adozione di misure di self cleaning in qualunque fase della procedura che preceda l’aggiudicazione, facendo così valere ed esaminare i provvedimenti che, a suo avviso, consentono di rimediare a un motivo di esclusione (cfr., Corte di giustizia U.E., sez. IV, 14 gennaio 2021, C-387/19, con commento di A. Damele, Le misure di self cleaning e la loro efficacia temporale, in Appalti e Contratti, gennaio 2022.
[18] Cfr. Delibera AGCM 28 luglio 2020, n. 28361 (Bollettino n. 41 del 19 ottobre 2020; G.U. n. 259 del 19 ottobre 2020), recante: “REGOLAMENTO ATTUATIVO IN MATERIA DI RATING DI LEGALITÀ (in attuazione dell’articolo 5-ter del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, così come modificato dall’art. 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge 24 marzo 2012, n. 29, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 2012, n. 62)”. Si veda anche l’art. 222 del D.Lgs. 36/2023 sul ruolo collaborativo dell’ANAC.
[19] Cfr art. 3, lett.c) della delibera AGCM 28361/2020, che prevede un punteggio incrementale ai fini dell’attribuzione del rating di legalità nel caso di “c) adozione di una funzione o struttura organizzativa, anche in outsourcing, che espleti il controllo di conformità delle attività aziendali alle disposizioni normative applicabili all’impresa o di un modello organizzativo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
[20] Manacorda, C. (2016). Il nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione: le presenze del decreto 231, in Rivista 231, 2016.
[21] L’art. 37 del D.Lgs. n. 209/2024 (Correttivo al Codice appalti) ha abrogato l’art. 109 del D. Lgs. n. 36/2023, relativo alla reputazione dell’impresa (c.d. rating d’impresa). Tale disposizione prevedeva l’istituzione presso l’ANAC di un sistema digitale di monitoraggio delle prestazioni, quale elemento del fascicolo virtuale degli operatori. Il sistema era fondato su requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi, che esprimono l’affidabilità dell’impresa in fase esecutiva, il rispetto della legalità e degli obiettivi di sostenibilità e responsabilità sociale. L’ANAC doveva definire gli elementi del monitoraggio, le modalità di raccolta dei dati e il meccanismo di applicazione del sistema per incentivare gli operatori al rispetto dei principi del risultato e di buona fede e affidamento, bilanciando questi elementi con il mantenimento dell’apertura del mercato, specie con riferimento alla partecipazione di nuovi operatori. Era previsto che fosse data attuazione al citato art. 109 entro 18 mesi dalla entrata in vigore dal Codice appalti, anche tenendo conto dei risultati ottenuti nel periodo iniziale di sperimentazione.
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