Quando si parla di innovazione, spesso pensiamo a una manciata di città simbolo: Berlino con le sue startup, Parigi con la deep tech, Milano con il design e il biotech, Barcellona con i suoi hub digitali. Ma l’Europa è molto di più, ed è fatta anche di regioni più periferiche, università di provincia, piccoli centri che hanno talento e idee ma non sempre le connessioni per emergere.
È proprio qui che entra in gioco CONNECT 2026, un’iniziativa lanciata nell’ambito del programma European Innovation Ecosystems di Horizon Europe. Un nome che già dice tutto: “connettere”, mettere in rete, creare ponti dove oggi ci sono barriere.
L’Unione Europea si è accorta che, nonostante i miliardi spesi in ricerca e sviluppo, troppo spesso i risultati restano confinati nei laboratori. Mancano i collegamenti: tra chi inventa e chi produce, tra chi finanzia e chi rischia, tra chi ha già un ecosistema maturo e chi, invece, fatica a partire.
CONNECT 2026 vuole proprio cucire insieme questi mondi. Le call aperte invitano università, startup, acceleratori e istituzioni a collaborare su scala europea per far crescere nuove tecnologie, ridurre il divario territoriale e spingere le imprese innovative fuori dal guscio locale.
I fondi disponibili — circa 14,5 milioni di euro — non sono certo paragonabili ai colossi americani del venture capital o ai pacchetti miliardari per l’industria green. Ma l’importanza di CONNECT 2026 non sta solo nelle cifre: sta nel messaggio politico.
L’Europa dice alle sue imprese: “Non siete sole, vi diamo gli strumenti per incontrarvi, crescere, contaminare le idee”. Un laboratorio diffuso che ha come obiettivo finale quello di rafforzare la competitività globale e trattenere i talenti sul territorio europeo.
Gli obiettivi principali sono tre:
- Aiutare le startup deep tech a scalare, superando gli ostacoli del passaggio dal prototipo al mercato.
- Sostenere gli ecosistemi emergenti, quelli che rischiano di restare indietro rispetto alle capitali più forti, creando alleanze tra regioni.
- Trasformare la ricerca in innovazione concreta, puntando molto sui Technology Transfer Offices (gli uffici che traducono le scoperte scientifiche in brevetti, licenze e imprese).
Naturalmente, il percorso non sarà facile. Partecipare ai bandi europei richiede tempo, competenze e risorse che non tutti hanno. C’è poi il rischio che i grandi hub attraggano la maggior parte dei fondi, lasciando poco spazio ai territori più fragili.
Eppure, la sfida è proprio questa: far sì che l’innovazione non resti un privilegio di pochi, ma un motore diffuso di crescita. Una rete in cui anche una startup nata in Calabria, una PMI high-tech slovacca o un centro di ricerca portoghese possano trovare spazio e partner.
Per il nostro Paese, CONNECT 2026 può rappresentare un’occasione preziosa. L’Italia ha eccellenze scientifiche e imprenditoriali, ma spesso manca di collegamenti stabili tra ricerca, impresa e capitale. Le università devono rafforzare i loro uffici di trasferimento tecnologico, le regioni meno connesse devono guardare all’Europa come a un trampolino, e le startup devono imparare a pensarsi subito globali.
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