la protesta contro l’istruzione militarizzata


In Italia, la presenza delle forze armate e dell’industria bellica nei luoghi della formazione è sempre più invasiva. La campagna di protesta al via da Roma

Negli ultimi anni, in Italia, è diventata sempre più invasiva la presenza delle forze armate e dell’industria militare all’interno dei luoghi della formazione. Dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, fino agli istituti tecnici superiori, si sono moltiplicati i progetti di ampliamento dell’offerta formativa, di educazione alla pace, alla violenza di genere, al cyberbullismo, e persino i corsi all’educazione alimentare, che sono stati affidati a personale militare, invece che a psicologici e pedagogisti.

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I casi documentati dall’Osservatorio contro la militarizzazione nelle scuole e nell’università sono diversi, e comprendono: la partecipazione degli studenti alle parate militari, gli stage e i tirocini nelle caserme, i piani di alternanza scuola-lavoro all’interno di numerose aziende del complesso industriale-militare.

L’Università non fa eccezione in quello che i sindacati autonomi della scuola definiscono «un processo di militarizzazione dei luoghi della formazione». Ed è proprio dagli atenei in protesta contro il genocidio in Palestina che prenderà vita sabato 13 settembre, all’interno della facoltà di ingegneria della Sapienza a Roma, la campagna “La conoscenza non marcia”, a cui hanno già aderito in tutta Italia centinaia di docenti e ricercatori, ma anche realtà di base come i sindacati autonomi della scuola, il collettivo GKN di Firenze e i portuali di Genova.

Definanziamento pubblico

«Vogliamo difendere università e scuole dall’invasione dell’industria bellica, dalla logica militare, dalla collaborazione con il genocidio del popolo palestinese», si legge in un documento nel quale si fa riferimento al fatto che il progressivo definanziamento pubblico degli atenei «rende normale» il reperimento di risorse presso agenzie private e pubbliche che hanno come proprio core business l’intelligence e l’industria bellica.

Nel mirino ci sono aziende come Elbit Systems, tra le più importanti per la fornitura di tecnologia militare dell’esercito israeliano, destinataria di importanti finanziamenti nell’ambito del programma europeo di istruzione Horizon; o come la Israeli aerospace industries, importante produttore israeliano di proprietà statale nel settore della difesa e aerospaziale, coinvolta anch’essa in numerosi progetti all’interno del programma Horizon 2020, ancora attualmente in corso.

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Ma anche l’italiana Fondazione Med-Or, costola di Leonardo. Diversi rettori di atenei italiani siedono nel Consiglio scientifico e la fondazione vanta circa 90 collaborazioni attive con università, tra cui i politecnici di Torino e di Milano, le università di Genova, Bologna e Roma La Sapienza, si legge ancora nel documento.

La campagna

«Poiché sappiamo che la progettualità e la ricerca dual use sono estremamente problematiche, viste le difficoltà di stabilire se un prodotto scientifico sia o meno indirizzato per scopi militari, il principio di precauzione deve guidare sempre l’operato dell’università pubblica di fronte all’offerta di partnership con le istituzioni di quei paesi che implementano politiche e pratiche coloniali come apartheid, occupazioni militari, genocidi, discriminazione», fa notare Osvaldo Costantini, professore associato di antropologia alla Sapienza di Roma.

Costantini è uno dei promotori della campagna e ritiene che questi accordi trasformano la ricerca scientifica, svolta in strutture pubbliche, «in un mandato a favore di ristretti gruppi economici e sociali e dei loro interessi geopolitici che hanno il settore militare come proprio campo privilegiato di investimento e accumulazione».

Non solo, il professore punta il dito anche contro la Nato che, soprattutto nei territori che ospitano le sue basi, sigla accordi con gli atenei per lo svolgimento di tirocini nei comandi dell’Alleanza atlantica, o per programmi come il Nato Model Event dell’università di Bologna, e ancora per progetti come l’esercitazione “Mare aperto” che si svolge in collaborazione con la marina italiana, e che coinvolge ogni anno circa 14 atenei.

Lo “spirito del tempo”

La volontà di militarizzazione della conoscenza e della formazione, però, non è solamente italiana. Una recente risoluzione del parlamento europeo invita gli stati membri dell’Ue «a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate».

Contro questo “spirito del tempo”, sabato 13 settembre verrà presentata una proposta di legge nazionale, che contiene la previsione che il finanziamento della ricerca e della docenza non possa avvenire in collaborazione con imprese o fondazioni legate alla produzione e vendita di armi alla distruzione dell’ambiente a condizioni di lavoro contrarie alla dignità umana o, comunque, a fini incompatibili con i valori della Costituzione. 

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