Il Sud spinge sulle tecnologie dell’Industria 4.0


Le imprese del Sud Italia spingono sul fronte della transizione digitale: nei prossimi tre anni il 35% delle imprese del Mezzogiorno prevede di realizzare investimenti in tecnologie 4.0, superando la media nazionale che si attesta al 32,8%. Il dato, che segnala una volontà di recupero del gap tecnologico storicamente attribuito a quest’area del Paese e che conferma anche quando recentemente emerso dal Regional Scoreboard della Commissione Europea -, emerge dall’ultima indagine condotta da Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne su un campione rappresentativo di 4.500 imprese italiane tra 5 e 499 addetti.

Lo slancio all’innovazione non è tuttavia uniforme. L’analisi evidenzia come a pianificare investimenti siano soprattutto le imprese manifatturiere (40,6%) e, in modo ancora più netto, le aziende di grandi dimensioni, dove la percentuale sale al 67,6%. Si delinea così un quadro a più velocità, dove la dimensione aziendale e il settore di appartenenza restano fattori determinanti per la capacità di innovazione. Meno propoense agli investimenti, secondo lo studio, le imprese a guida femminile del Sud: solo il 30% ha intenzione di investire in tecnologie 4.0 contro la media del 35%.

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Il motore dell’innovazione sono efficienza e qualità (ma c’è poca strategia)

L’adozione di tecnologie 4.0 in Italia sembra guidata da una logica prevalentemente interna e orientata al contenimento dei costi. Per il 56% delle aziende, infatti, la motivazione principale per investire è la ricerca di una maggiore efficienza operativa e di una conseguente riduzione delle spese. Questa percentuale raggiunge il 63,2% tra le imprese con più di 50 addetti, suggerendo come le economie di scala rendano più immediato il ritorno di tali investimenti. Al secondo posto tra le motivazioni si colloca il miglioramento qualitativo della produzione, indicato dal 21,9% del campione. Complessivamente efficienza e qualità rappresentano la principale motivazione all’investimento per il 78% delle aziende.

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È interessante notare come l’accesso agli incentivi pubblici sia un fattore trainante solo per il 12,3% delle imprese, sebbene questa quota salga al 14,3% tra le realtà di piccole dimensioni, per le quali il supporto esterno è evidentemente più determinante.

L’impatto atteso delle nuove tecnologie si concentra quasi esclusivamente sull’organizzazione interna. Due imprese su tre (66,6%) si aspettano innovazioni nell’assetto organizzativo e quasi una su due (48%) prevede un cambiamento radicale dei processi produttivi. Molto più contenute, invece, le aspettative sugli effetti esterni: solo il 23,5% intravede opportunità di innovazione nel marketing e nelle vendite, e appena il 19,3% nei rapporti con fornitori e clienti. L’adozione del digitale appare quindi più come una leva per ottimizzare l’esistente che come uno strumento per ripensare il proprio modello di business e la relazione con il mercato.

Le tecnologie più ricercate

Dal punto di vista tecnologico le scelte di investimento si concentrano sulle tecnologie che rappresentano il “cuore” della fabbrica intelligente.

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La “simulazione fra macchine connesse”, tecnologia abilitante per la creazione di gemelli digitali (digital twin), è la più gettonata, con il 29,4% delle preferenze.

Seguono la robotica avanzata (24,8%) e la cybersecurity (22,8%), quest’ultima un’esigenza imprescindibile in un contesto di crescente interconnessione.

La classifica delle tecnologie più ricercate prosegue con un gruppo di tecnologie legate alla gestione dei dati e all’infrastruttura, come l’Internet of Things (17,1%), il cloud computing (15,5%) e l’analisi dei big data (13,9%).

Chiudono l’elenco soluzioni più specifiche ma in crescita come la manifattura additiva (11,2%) e la realtà aumentata o virtuale a supporto della produzione (9,3%).

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Il collo di bottiglia delle competenze

Se le intenzioni di investimento sono incoraggianti, soprattutto al Sud, il percorso verso la digitalizzazione è tutt’altro che spianato. Il principale ostacolo identificato dalle imprese non è di natura finanziaria, ma umana. Per il 27,7% del campione, la barriera più alta è la carenza di competenze interne adeguate a gestire la transizione. A questo si aggiungono le difficoltà nel dialogare con università e centri di ricerca e nel navigare la complessità burocratica per accedere agli incentivi.

Segue a breve distanza (25,9%) la mancanza di risorse finanziarie interne, un problema particolarmente sentito dalle piccole imprese (28,2%), mentre i costi elevati delle tecnologie rappresentano un freno per il 18,4% degli intervistati. In parole semplici, prima ancora che di capitali, il sistema produttivo italiano ha fame di know-how.

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“Le imprese del nostro Paese devono recuperare un gap sul fronte dell’innovazione e del digitale”, ha commentato Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere. “In questo quadro i segnali di recupero provengono dal Mezzogiorno e sono molto importanti. L’impegno delle Camere di commercio si concentra nel raccogliere le esigenze di innovazione delle imprese e nel fare da collegamento tra Centri di ricerca e sistemi produttivi”. Un ruolo di intermediazione fondamentale per trasformare il potenziale tecnologico in vantaggio competitivo reale.



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