il Sud corre più veloce del resto del paese


Voglia di digitale. Al Sud, più che nel resto del Paese, tra le piccole e medie imprese manifatturiere, l’asse portante del sistema industriale italiano. L’ultima indagine di Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne su un campione nazionale di 4.500 imprese tra 5 e 499 addetti conferma di fatto una tendenza in parte già emersa negli ultimi mesi e sulla quale concordano tutti gli osservatori più attenti («Innovazione e digitalizzazione mostrano un recupero progressivo, con regioni come Sicilia, Puglia, Campania e Sardegna che registrano le maggiori variazioni positive nell’innovazione», si legge ad esempio nel recente Panorama di mezza estate prodotto da SRM).

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Il report diffuso ieri rafforza la consapevolezza che la crescita economica del Mezzogiorno, superiore nel triennio alla media Italia, poggia su basi credibili ancorché ancora da ampliare, a partire dagli investimenti in tecnologie avanzate. Prima area nazionale per nuove iscrizioni di imprese, il Sud che accelera il passo sulla digitalizzazione non è più solo un auspicio.

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I numeri

Unioncamere e Tagliacarne spiegano che il 35% delle imprese meridionali investirà in 4.0 entro il 2027 rispetto al 32,8% della media Italia. L’obiettivo primario è colmare il gap digitale che nel recente passato sembrava il muro più arduo da scavalcare per garantire all’area la necessaria competitività anche su scala internazionale. Ma è forte anche la sensazione che questa corsa al digitale made in Sud sia anche frutto degli investimenti del Pnrr, che soprattutto a livello dei Comuni più piccoli sono stati destinati a scuole dell’obbligo, uffici pubblici e altri servizi. Per non accennare alla diffusione della banda ultra-larga che ha permesso al sistema delle imprese, anche nelle aree interne, di non sentirsi più figlie di un dio minore per lo svolgimento delle loro attività immateriali.

Lo scenario

Non tutto, ovviamente, funziona ancora come dovrebbe. Il nodo delle competenze interne, come è emerso anche nell’indagine in questione, resta un ostacolo tutt’altro che trascurabile. «Aumentare l’efficienza interna e/o ridurre i costi è il principale obiettivo che spinge oltre la metà delle aziende ad investire in questa direzione. Tuttavia, la carenza di competenze interne aziendali costituisce per il 27,7% delle imprese il principale ostacolo ad introdurre tecnologie 4.0», spiegano i ricercatori. «Le imprese del nostro Paese devono recuperare un gap sul fronte dell’innovazione e del digitale. In questo quadro i segnali di recupero che provengono dal Mezzogiorno sono molto importanti e certamente di buon auspicio per il futuro», sottolinea il Segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. Che aggiunge: «L’impegno delle Camere di commercio si concentra nel raccogliere le esigenze di innovazione delle imprese e nel fare da collegamento tra Centri di ricerca e sistemi produttivi per fornire risposte adeguate ai bisogni delle aziende».

L’accelerazione del Sud, come detto, sembra però una certezza. Nel già citato Panorama di SRM, si legge ad esempio che «le imprese con attività innovative (10 e più dipendenti) sono arrivate nel Mezzogiorno a 17.857 unità a metà 2025, ovvero il 56,7% del totale (leggermente inferiore alla media nazionale, pari a circa il 58%) ma con una crescita tra il 2012 e il 2022 del 22,4% contro il +8,4% della media Italia e del 12,3% nel periodo 2020-22 rispetto al +7,7% della media nazionale». Ma forse il dato più significativo è un altro: proprio grazie a ritmi di crescita più accentuati, il Mezzogiorno vede la maggioranza del testo imprenditoriale rappresentato dalle aziende che innovano, salite al 46,1% nel 2022. Non è un caso che tra Pmi innovative e Startup innovative, grazie alla felice sinergia con il sistema universitario e i centri di ricerca, le percentuali di crescita maggiori in Italia si siano registrate in questi anni proprio al Sud.

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Gli obiettivi

Ma cosa vuol dire esattamente investire di più nel digitale? Se, come detto, la maggioranza delle imprese (il 56%) è spinta dalla volontà di aumentare l’efficienza interna e di ridurre i costi, con picchi del 63,2% tra le aziende con più di 50 addetti, ci sono anche quelle che puntano al «miglioramento dei livelli qualitativi della produzione, obiettivo segnalato dal 21,9% delle imprese, una quota che sale al 23% per quelle di piccole dimensioni. Mentre il 12,3% investe nella transizione digitale spinto dagli incentivi, anche in questo caso la quota appare più elevata nel caso delle piccole imprese (14,3%)». Il gap di skill, come accennato, resta vistoso: sfiora il 28% del campione il numero di imprese che faticano anche a gestire i rapporti con università o centri di ricerca e seguire le procedure necessarie ad ottenere gli incentivi. E a cosa puntano le imprese nella scelta del digitale? Il 29,4% investe in simulazione fra macchine connesse per aumentare l’efficienza dei processi produttivi. Seguono gli investimenti in robotica (24,8%) ed in Cyber security (22,8%). Quanto all’effetto 4.0, due imprese su tre si attendono innovazioni dell’organizzazione aziendale «mentre per quasi la metà (48%) le tecnologie cambieranno radicalmente l’assetto dei processi produttivi. Meno rilevanti invece sono gli effetti attesi su innovazione di marketing e vendita dei prodotti (23,5%) e sui rapporti esterni con fornitori e clienti (19,3%)».

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