Di recente Massimo Taddei ha pubblicato un’analisi del mito della pensione individuale, di quella affermazione per la quale “la pensione me la sono pagata da solo con il mio lavoro”. Si tratta di un tema sempreverde e che torna quando si discute politicamente della questione pensionistica.
Come riporta Taddei, ogniqualvolta si promuove la necessità di riformulare il sistema previdenziale, ci sono molte persone che percepiscono come una violazione del proprio diritto di lavoratore l’irrigidimento dei requisiti per il pensionamento. Il problema, come viene posto nell’analisi, è che già adesso il sistema pensionistico non è sostenibile e in futuro la situazione non può che aggravarsi. È interessante quindi riprendere l’analisi e metterla in relazione ai numeri del report “Previsione della popolazione residente e delle famiglie” dell’Istat, che immagina le prospettive dell’Italia da qui al 2050.
Il mito della pensione individuale
No, la pensione che si andrà a prendere in futuro non deriva da quanto si è pagato durante gli anni di lavoro. Può sembrare banale ma è giusto ripeterlo: con il lavoro di oggi si pagano le pensioni di oggi. Non esiste, come fa notare Massimo Taddei, una sorta di cassetto personale in cui vengono accantonati i contributi versati. Questi sono infatti utilizzati per finanziare gli assegni in pagamento per gli attuali pensionati.
Da qui emerge un problema di copertura economica. Già ora l’Italia infatti spende di più in pensioni di quanto entra. Proprio lo scorso luglio l’Inps ha spiegato come nel 2024 abbia incassato 284 miliardi di euro di contributi, insufficienti a coprire le uscite. Per questo lo Stato ha aggiunto 181 miliardi per colmare il divario. Al momento quindi le pensioni non vengono pagate soltanto attraverso i contributi specifici, ma l’Inps deve attingere a fondi pubblici, cioè alle tasse versate dai cittadini, per coprire tutta la spesa pensionistica.
Eppure i lavoratori dipendenti privati versano già in media il 33% della retribuzione. In passato la cifra era molto più bassa:
- negli anni ’50 intorno al 10%
- negli anni ’60 intorno al 20%
- fino alla fine degli anni ’80 sotto il 25%
- fino al 1997 sotto al 30%
- dal 1998 a oggi al 33%
I vantaggi delle generazioni passate
Non è solo una questione demografica. Una serie di vantaggi hanno permesso in passato uscite anticipate dal lavoro o calcoli pensionistici che hanno portato ad assegni più alti, aumentando la spesa del sistema. Basti pensare alla differenza tra il metodo retributivo e quello contributivo o al fenomeno delle cosiddette baby pensioni.
Tutti i fattori che, come riporta Taddei, hanno contribuito a rendere le pensioni italiane più generose di quanto i contributi versati avrebbero potuto consentire. “In molti casi i pensionati hanno già ricevuto dallo Stato più di quanto abbiano pagato da lavoratori”, scrive.
Cita poi l’esempio portato da Michele Boldrin, esplicativo del perché la pensione non viene pagata con i contributi versati durante il proprio periodo di lavoro.
Cosa ci dicono i dati Istat sul futuro
Le previsioni demografiche diffuse dall’Istat fotografano un Paese che nei prossimi decenni diventerà inevitabilmente più vecchio e meno popoloso. Oggi in Italia vivono circa 59 milioni di persone, ma entro il 2050 scenderanno a 54,7 milioni, con un calo di oltre quattro milioni in appena venticinque anni.
La trasformazione più evidente riguarda la composizione per età. Gli anziani sopra i 65 anni, oggi un quarto della popolazione, diventeranno oltre un terzo entro il 2050, mentre la fascia in età lavorativa (15-64 anni) si ridurrà di 7,7 milioni di unità. In termini percentuali, i lavoratori potenziali passeranno dal 63,5% al 54,3% della popolazione.
In questo scenario, l’Italia si avvia a essere una società più longeva ma anche più sbilanciata, con un peso crescente della spesa sociale e previdenziale. Una tendenza che rende ancora più fragile il sistema delle pensioni, già oggi sostenuto dai trasferimenti pubblici e non dai soli contributi dei lavoratori.
Il dibattito politico però è piuttosto superficiale e, di fronte all’incremento dell’aspettativa di vita, la Lega ha proposto di bloccare il meccanismo di aumento automatico. Una decisione che aumenta il costo per le casse pubbliche, rendendo in prospettiva il sistema del tutto insostenibile.
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