Pfzw ha tolto 29 mld a Blackrock e L&G, e 50 mld da strategie passive. È una conferma della resilienza dimostrata da diverse ricerche pubblicate in estate. Ma anche da indirizzi verso la “consapevolezza” arrivati dai regolatori
Ha fatto molto rumore, nei giorni scorsi, la cancellazione, per ragioni Esg, di mandati per 29 miliardi di euro a Blackrock e L&G da parte del fondo pensione olandese Pfzw. Ma non ha fatto sufficiente rumore un altro aspetto della nuova strategia del colosso previdenziale dei Paesi Bassi: contestualmente al cambio di gestori, Pfzw ha comunicato di aver tolto 50 miliardi di euro da strategie di investimento passive sull’equity, per poter indirizzare meglio le risorse verso aziende con un migliore equilibrio sostenibile (spostando, nel complesso, la faraonica cifra di 79 miliardi). Questa scelta indica un salto di convinzione e di know how Esg da parte del fondo, tale da prendersi in carico la gestione attiva del suo enorme patrimonio, con «l’obiettivo di un migliore equilibrio tra la nostra esigenza di buoni rendimenti, rischi accettabili e sostenibilità».
Insomma, «non si tratta tanto di fare più sostenibilità, ma di farla meglio», come ha detto un analista di Msci in un podcast dello scorso 1 agosto. La frase racchiude il senso di un’estate con messaggi di resilienza importanti. Messaggi di principio. Ma anche messaggi operativi. In sintesi, gli Esg hanno ormai raggiunto una fase di alta consapevolezza, per cui il sistema li “insegue” a prescindere da sgambetti politici o normativi, trovando allineamenti trasversali tra aziende e investitori. Non ci interroga nemmeno più su, appunto, quanto sia diffusa la sostenibilità. Bensì su quanto ci sia modo di tradurre questa sostenibilità in un miglior business.
LA CONVINZIONE DELLE AZIENDE
Sul fronte della resilienza in ambito aziendale, la sorpresa arriva dal “Sustainable Signals” di Morgan Stanley pubblicato a fine giugno: la quota di aziende che ritiene strategica la sostenibilità è salito all’88 per cento. Un dato in crescita di 3 punti rispetto al 2024. Tre punti sono pochi, forse. Ma la cosa incredibile, dato il contesto, è che il valore sia in crescita.
Non solo. Anche in termini qualitativi, il risultato è significativo. Infatti, a fronte dell’88% sopra menzionato, appena il 12% delle aziende continua a vedere la sostenibilità solo come strumento di gestione del rischio, in calo rispetto al 15% del 2024. Inoltre, la maggior parte delle aziende (83%) afferma di poter quantificare i rendimenti dei propri investimenti legati alla sostenibilità, proprio come fanno per altre iniziative (vedi il report).
LA RELAZIONE CON GLI INVESTITORI
Questa focalizzazione sugli Esg come driver strategico non può che riflettersi nel rapporto tra aziende e investitori. Tema esplorato, appunto, nel podcast di Msci citato all’inizio. Gli analisti della società di rating Esg hanno evidenziato che, malgrado l’incertezza normativa, sembra che aziende e investitori stiano convergendo su una linea comune per la disclosure di dati di sostenibilità: vogliono informazioni utili, misurabili e collegate a un chiaro valore economico, evitando richieste ideologiche o troppo onerose.
A sostegno della tesi è stata l’analisi dei risultati della stagione assembleare: le mozioni Esg presentate sono dimezzate (da 400 a 200), ma quelle approvate, alla fine, sono le stesse del 2024 (addirittura con un supporto medio delle votazioni in leggera crescita al 23%, contro il precedente 22). Per contro, sono state presentate 41 mozioni “anti-Esg”, ma il loro livello medio di supporto è stato appena dell’1,4 per cento.
L’ONERE DI DEFINIRSI ESG
Investitori e aziende, insomma, sono incanalati sul sentiero degli Esg come business. In quanto tale, gli Esg sono uno strumento che richiede esercizi di efficientamento e integrazione. Sono interpretabili in questa direzione anche i più recenti messaggi del regolatore. Nel Regno Unito, si è deciso di abbandonare la strada di definire una Tassonomia home made: l’esperienza europea sembra aver convinto la City che uno schema tassonomico per indicare cosa sia sostenibile e cosa no, presenti più costi che benefici. Da qui, in chiave di maggiore efficienza, lo stop al percorso di una Uk Taxonomy (l’approfondimento è in uscita mercoledì).
L’altro messaggio è arrivato da Esma e le altre Esas che, a inizio agosto, hanno rilasciato un documento di Q&A su Sfdr (l’approfondimento è in uscita domani). Sono quasi 80 pagine di risposte complesse che cercano di confortare gli operatori sul dubbio: come essere certi che il prodotto o il servizio siano sostenibili? Ebbene, se da un lato risulta evidente come, per mantenere la coerenza della sostenibilità nell’intero impianto normativo, il regolatore stia imponendo labirintiche architetture agli operatori, dall’altro lato, lo stesso regolatore è costretto a fermarsi di fronte a un limite invalicabile. Il documento (capitolo II a pagina 7) conferma, infatti, la necessità di “invertire l’onere della prova”: in chiave di una vera e massima consapevolezza dei principi Esg, si continua a rimandare ai singoli operatori l’onere di individuare, in ultima istanza, la sostenibilità del proprio operato.
E alcuni degli operatori, come dimostrano le scelte del fondo olandese Pfzw, sono più che mai pronti.
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