La nuova frontiera dell’innovazione industriale


La numerosità e la qualità delle startup in un Paese sono da tempo indicatori privilegiati per misurare il grado di innovazione di un sistema economico. Riflettono la vitalità dell’ecosistema imprenditoriale e la capacità di trasformare idee in soluzioni ad alto impatto, con ricadute dirette sulla competitività e sulla resilienza del tessuto industriale.

In Italia, alla fine del 2024, si contano circa 16mila startup e Pmi innovative, per un fatturato aggregato di 11,1 miliardi di euro, pari allo 0,51% del Pil. Il settore dà lavoro a circa 70mila addetti, equivalenti allo 0,3% dell’occupazione totale.

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Ma al di là del peso economico diretto, le startup offrono benefici strategici rilevanti: attirano investimenti esteri (con multinazionali come Google, Amazon, Bosch che localizzano R&D nel Paese), convogliano fondi europei per la ricerca (Horizon Europe, EIC Accelerator, ERC, Digital Europe), rafforzano la competitività delle grandi imprese e accelerano la transizione digitale ed ecologica, contribuendo su ambiti chiave come energia, economia circolare, digital health e intelligenza artificiale.

Percentuale delle Startup e delle Pmi innovative in Italia per anno.

A conferma di una crescente maturità dell’ecosistema, si osservano alcuni segnali incoraggianti: la maggiore rilevanza delle scale-up, la crescita dei second time founders, l’aumento degli investimenti esteri e l’entrata in vigore dello Scale-Up Act.

Indicatori che testimoniano un’evoluzione positiva, anche se ancora parziale, del sistema italiano dell’innovazione.

Tuttavia, se da un lato l’ecosistema italiano mostra segnali di maturazione, dall’altro la distanza rispetto ai principali hub dell’innovazione del continente resta marcata.

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Totale dei ricavi ripartiti per tipologia dell’impresa innovativa.

La competizione europea e il caso Francia-Spagna

In Europa, la Francia si conferma tra i principali hub dell’innovazione, con oltre 25.000 startup attive e 1,1 milioni di occupati nel settore. Un ruolo rafforzato dalla strategia French Tech, che nel solo 2024 ha mobilitato oltre 500 milioni di euro a supporto delle startup in fase early-stage attraverso programmi pubblici mirati.

Anche la Spagna ha intrapreso un percorso strutturato, approvando nel 2022 la Ley de Startups, una riforma pensata per semplificare il quadro normativo, incentivare il rientro dei talenti e favorire l’attrazione di capitali. Oggi l’ecosistema spagnolo conta oltre 14.000 startup e tech company, per un totale di circa 160.000 addetti.

Al di là degli strumenti di incentivazione, pur rilevanti, ciò che caratterizza le esperienze europee più avanzate è la capacità di attivare sinergie strutturate tra startup e grandi imprese. È sul terreno della collaborazione industriale e strategica, che l’Italia è chiamata a giocare una partita decisiva per colmare il divario e valorizzare appieno il potenziale del proprio ecosistema innovativo.

I tre modelli di collaborazione: Open Innovation, Cvc e Cvb

L’Open Innovation, modello più diffuso, si basa su collaborazioni progettuali. In Italia è adottato dall’86% delle grandi aziende ed è considerato importante o cruciale da circa l’80%, in crescita rispetto al 67% del 2023.

Pur soffrendo talvolta di una logica tattica ed estemporanea (la cosiddetta “sindrome del PoC”), resta uno strumento accessibile e prezioso.

Il Corporate Venture Capital (Cvc), invece, è ancora poco sviluppato: solo il 20% delle top 50 aziende italiane vi ricorre, con 150 milioni di euro investiti nel 2024 (+83% sul 2023), ma siamo ancora lontani dagli standard europei. Il capitale è cruciale per le startup, ma la sfida è trasformare l’investimento da mera operazione finanziaria a leva strategica.

Infine, il modello emergente è il Corporate Venture Building (Cvb), che rappresenta la frontiera più promettente. Qui la Corporate co-sviluppa nuove iniziative imprenditoriali con startup o valorizzando asset interni (tecnologie, brevetti, know-how) per rispondere a bisogni strategici. Il potenziale è sistemico: genera business nuovi, rafforza la filiera dell’innovazione e coinvolge anche il mondo accademico.

Corporate Venture Building: il potenziale per le imprese

Le imprese che adottano un modello di Corporate Venture Building possono beneficiare di numerosi vantaggi strategici. Innanzitutto, il Cvb consente di esplorare nuovi modelli di business, anche al di fuori del perimetro tradizionale dell’attività core, favorendo la diversificazione e l’innovazione di lungo periodo.

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Grazie a team dedicati e processi agili, le aziende possono inoltre sviluppare e validare soluzioni in tempi rapidi, riducendo significativamente i rischi legati alle fasi iniziali di crescita.

Un ulteriore punto di forza è l’accesso a capitali esterni, sussidi pubblici e incentivi fiscali, che permette di alleggerire il carico finanziario e accelerare lo sviluppo delle iniziative. Il Cvb rappresenta anche un’opportunità per valorizzare asset intangibili sottoutilizzati, come brevetti e tecnologie non ancora impiegate nel business core, trasformandoli in leve competitive.

A ciò si aggiunge una governance più strutturata e una maggiore apertura verso l’ecosistema dell’innovazione, elementi che rafforzano la capacità dell’impresa di attrarre partner, investitori e talenti. Infine, il CVB consente di testare rapidamente il mercato e di favorire un technology transfer efficace, rendendo più fluido e produttivo il passaggio dalla ricerca alla sua applicazione industriale.

Cinque regole per costruire un Cvb di successo

Perché un modello di Corporate Venture Building generi valore reale e duraturo, è fondamentale che sia costruito su basi solide e guidato da una visione strategica chiara. Non si tratta solo di lanciare nuove iniziative, ma di farlo in modo coerente con gli obiettivi dell’impresa, dotandosi delle giuste competenze, risorse e condizioni operative.

Ecco cinque regole chiave per sviluppare un Cvb efficace e sostenibile:

  1. Definire l’intento strategico, chiarendo ambito di azione, orizzonte temporale e grado di adiacenza al core business, inclusi eventuali scenari di “cannibalizzazione controllata”.
  2. Costruire un team solido, capace di integrare competenze imprenditoriali e aziendali, supportato da meccanismi di incentivazione coerenti basati su un mix di retribuzioni cash ed equity.
  3. Generare idee in modo strutturato, attingendo dalle Business Unit, trend di mercato, network accademici e industriali, oltre che attraverso attività di scouting di brevetti e proprietà intellettuali.
  4. Adottare una cultura agile, con processi decisionali rapidi, apertura al cambiamento e capacità di adattamento alle opportunità emergenti.
  5. Garantire autonomia operativa, mantenendo però accesso a risorse, asset e connessioni dell’organizzazione madre, per accelerare lo sviluppo e la scalabilità delle iniziative.

In uno scenario globale in rapido mutamento, segnato da transizioni tecnologiche e nuove geografie dell’innovazione, la capacità dell’Italia di attivare collaborazioni strutturate tra startup e grandi imprese rappresenta un vero fattore abilitante di competitività.

Non è più sufficiente disporre di capitale o di un quadro normativo favorevole: l’innovazione si gioca sempre più sul terreno della convergenza strategica, dove modelli agili e visione industriale si incontrano per generare valore condiviso.

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Sandro Bacan è partner di Arthur B Little



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