Italia, le ore di lavoro crescono (+0,2%), ma le posizioni diminuiscono


Il 29 agosto 2025 l’Istat ha diffuso i dati relativi ai conti economici relativi al secondo trimestre dell’anno, che forniscono un quadro articolato sull’andamento del Pil ma anche del mercato del lavoro italiano. I numeri confermano alcune tendenze già anticipate nelle stime preliminari di luglio, ma mettono in evidenza una dinamica che merita attenzione, ovvero: mentre le ore complessivamente lavorate crescono leggermente (+0,2%), le posizioni lavorative complessive diminuiscono.

Quindi, da un lato c’è stata un’intensificazione dell’impegno produttivo con l’aumento delle ore di lavoro, mentre dall’altro c’è stato un rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro o una riduzione di quelli esistenti. A complicare lo scenario si aggiunge il rallentamento del Prodotto interno lordo (Pil), che nel secondo trimestre registra una contrazione congiunturale dello 0,1%.

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Questi elementi, presi insieme, raccontano una realtà fatta di maggiore pressione su chi lavora e di incertezza occupazionale.

Ore lavorate in aumento: si lavora di più ma ci sono meno posti

Il dato più interessante del report di Istat riguarda il lavoro, in particolare quello relativo alle ore lavorate che aumentano dello 0,2% nel secondo trimestre del 2025, senza che però vi sia un corrispondente incremento nelle posizioni lavorative, che al contrario risultano in calo.

Cosa significa? Che le imprese, pur senza aumentare la forza lavoro complessiva, hanno richiesto un maggiore impegno a chi già occupato. Questo può tradursi in più straordinari, maggiore intensità di utilizzo dei contratti a termine o part-time, o ancora in una ridistribuzione del carico di lavoro a fronte di una riduzione del personale.

È un segnale preoccupante per il mercato del lavoro: la produttività viene ricercata aumentando lo sforzo individuale piuttosto che creando nuova occupazione.

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Implicazioni sul lavoro e sul benessere sociale

L’aumento delle ore lavorate può essere letto come un segnale di vitalità delle imprese che cercano di produrre di più, tuttavia,  la riduzione delle posizioni lavorative indica che non vi è sufficiente fiducia per assumere o mantenere occupati i lavoratori.

E in questo caso le conseguenze possono essere molteplici. Per esempio, meno posizioni stabili significa maggiore ricorso a contratti a termine o flessibili, quindi maggiore precarietà. Con meno persone e più ore da coprire aumenta anche il rischio di sovraccarico e stress, con i i giovani e le donne, già più esposti alla discontinuità lavorativa,  che rischiano di pagare il prezzo più alto.

In prospettiva, se questa dinamica dovesse consolidarsi, il mercato del lavoro italiano potrebbe entrare in una fase in cui l’occupazione non cresce in termini quantitativi ma solo in termini di intensità di lavoro per i già occupati, riducendo le opportunità di inclusione per chi cerca lavoro.

Una crescita debole che non crea lavoro

Il quadro complessivo è quello di un Paese in cui la crescita economica, già modesta, non si traduce in occupazione diffusa, non solo guardando i dati relativi al Pil (che segna una contrazione congiunturale dello 0,1% nel secondo trimestre del 2025). Anche dal lato dell’offerta, i dati settoriali non sono incoraggianti:

  • il settore agricoltura, silvicoltura e pesca registra un calo produttivo dello 0,6% e si conferma in difficoltà;
  • l’industria è in contrazione dello 0,3%, segnale evidente delle difficoltà produttive e della debolezza della domanda internazionale;
  • il settore dei servizi è stabile, ma non cresce.

L’Italia sembra muoversi su un equilibrio fragile, in cui le imprese cercano di resistere aumentando l’impegno dei lavoratori già in organico, senza però offrire nuove opportunità di lavoro. Questo rischia di minare non solo la coesione sociale ma anche la capacità del Paese di sostenere una crescita duratura.

Per invertire la rotta, serviranno politiche che stimolino la domanda interna, rafforzino la competitività dell’export e soprattutto favoriscano la creazione di posti di lavoro stabili, condizione indispensabile per trasformare la crescita economica in benessere reale per i cittadini.





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