Gli interessi sul lungo periodo stanno accelerando e questo potrebbe portare le autorità monetarie a tollerare un’inflazione più elevata.
Chi segue il mercato delle obbligazioni recentemente potrebbe sentirsi alquanto frustrato. I tassi di interesse a breve termine hanno arrestato il loro calo e, parallelamente, quelli a lungo termine mostrano una tendenza al rialzo. Ieri, nel Regno Unito, il rendimento dei titoli trentennali ha toccato il 5,70%, un livello non visto dal 1998. In Giappone, il tasso si aggira intorno al 3,30% nonostante un tasso base dello 0,50%. In Francia, il tasso ha superato il 4,50%, il massimo dal 2009. Negli Stati Uniti, si avvicina al 5%. Questi sviluppi rappresentano un campanello d’allarme per i governi che si trovano a dover finanziare debiti sempre più onerosi. E non è escluso che presto le banche centrali possano intervenire.
Di conseguenza, l’ipotesi di un’inflazione persistentemente elevata non è affatto lontana.
Inflazione oltre gli obiettivi
Le banche centrali si trovano in una posizione delicata, non potendo ridurre significativamente i tassi di interesse. Primo, perché una tale misura sarebbe difficile da giustificare con tassi di inflazione che superano ancora gli obiettivi prefissati. In secondo luogo, i rendimenti a lungo termine sembrano poco influenzati da queste manovre. I tassi di interesse influenzano direttamente i rendimenti a medio e breve termine, mentre quelli a lungo termine sono più sensibili alle aspettative inflazionistiche e ai rischi di credito percepiti.
Controllo della curva dei rendimenti
Quale può essere la risposta all’aumento dei rendimenti a lungo termine? Un possibile approccio è cercare di riprendere il controllo della curva dei rendimenti, intensificando gli acquisti di obbligazioni a lunga scadenza. Possiamo aspettarci che dalle banche centrali, dalla BCE alla Fed, passando per la Banca d’Inghilterra e altre, si proceda all’acquisto di bond con scadenze di 10, 15, 20, 30 anni e oltre. L’obiettivo sarebbe anche quello di prevenire il blocco del mercato del credito, rendendo prestiti e mutui inaccessibili per famiglie e imprese. I responsabili delle politiche monetarie potrebbero parlare di “inefficienze” nella trasmissione della politica monetaria per giustificare tali interventi.
In realtà, il loro obiettivo sarebbe quello di salvaguardare i bilanci pubblici di paesi in difficoltà come gli USA, la Francia e il Regno Unito, permettendo ai governi di mantenere le promesse di riequilibrio finanziario.
Tuttavia, il risultato più probabile di questa manovra sarebbe un aumento dell’inflazione. La maggior liquidità sul mercato, insieme a politiche fiscali piuttosto permissive, stimolerà la domanda di beni e servizi, e non solo di asset finanziari come accaduto nel decennio precedente alla pandemia. I target di inflazione verrebbero superati più o meno stabilmente. Le banche centrali troverebbero scuse poco convincenti per questa palese violazione del loro mandato.
Supporto indesiderato ai bilanci pubblici
La realtà è che questo sarebbe addirittura un effetto collaterale ben accetto. A chi? Principalmente ai governi. Un’inflazione più alta farebbe gonfiare il PIL, riducendo il debito pubblico in percentuale ad esso. Questo è ciò che è accaduto negli ultimi anni. Ad esempio, il debito italiano era salito quasi al 155% nel 2020, per poi scendere al 135% principalmente a causa dell’alta inflazione. Alcuni economisti ritengono che un’inflazione più elevata possa stimolare la crescita economica.
I dati empirici, ancor prima della teoria, mostrano che un’inflazione elevata si traduce nel tempo in una stagnazione dei consumi e in un aumento delle tensioni sociali.
I lavoratori chiederanno aumenti salariali più sostanziosi, mentre le imprese si lamenteranno dell’aumento dei costi. Gli stati incasseranno di più, poiché le entrate fiscali sono legate ai redditi nominali. Ci sarà una redistribuzione delle risorse dai contribuenti ai governi tramite il “drenaggio fiscale”, nonché dal lavoro al capitale.
Un’inflazione più alta minaccia la credibilità delle banche centrali
Se i governi fossero ancora minimamente razionali, farebbero marcia indietro e mostrerebbero maggiore prudenza nella gestione dei conti pubblici. Questo sarebbe un modo per calmierare i rendimenti a lungo termine. Ma la politica sembra aver perso la bussola. Anni di “dominanza fiscale” hanno creato un clima di irresponsabilità che ora è difficile correggere. L’aspetto, se possibile, ancora più spiacevole sarebbe la perdita di credibilità delle banche centrali. Una volta che il mercato comprende la situazione, le aspettative inflazionistiche potrebbero sganciarsi e si rischierebbe di vedere un’inflazione persistentemente superiore agli obiettivi, anche dopo la fine della politica irresponsabile.
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