Crediti inesigibili per 540 miliardi. Il governo pensa al maxi-stralcio


I lavori sono ormai ultimati, ma le riunioni tecniche e politiche si susseguono. Anche perché prendere la decisione non sarà affatto facile. Dopo anni di accumulo, i debiti fiscali di cittadini e imprese non ancora riscossi, hanno raggiunto la stratosferica somma di 1.300 miliardi di euro. Un fardello che continua a lievitare e che rende sempre più complesso il lavoro di recupero dell’Agenzia delle Entrate. Soprattutto perché una parte di queste somme sono ormai considerate del tutto inesigibili. Ed è proprio queste ultime che il governo si starebbe preparando a cancellare. Per studiare come fare, il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha nominato una Commissione speciale, presieduta da Roberto Benedetti, un magistrato della Corte dei Conti. La relazione Benedetti sarebbe ormai pronta, con all’interno una serie di proposte per svuotare, almeno parzialmente, il magazzino delle cartelle. I confronti con i tecnici del ministero dell’Economia e in particolar modo, con quelli della Ragioneria, sarebbe ancora in corso. Ma l’ipotesi più probabile è che i crediti fiscali considerati inesigibili vengano stralciati dal bilancio pubblico. Un’operazione che, tuttavia, non avverrebbe in un’unica soluzione, ma spalmata su cinque o sei anni. Ma a quanto ammontano i crediti ormai considerati inesigibili? Lo ha spiegato lo stesso Benedetti in una recente audizioni parlamentare in Senato nell’ambito proprio dell’indagine conoscitiva sul magazzino del Fisco. Dei 1.300 miliardi circa di tasse, sanzioni e interessi non riscossi, 537,75 miliardi di euro sarebbero ormai, per usare un termine tecnico, in default.

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LE SOMME

Sofferenze acclamate sulle quali per lo Stato sarebbe meglio mettere una pietra (tombale) sopra. Si tratta di somme che riguardano persone decedute, imprese dichiarate fallite, o nullatenenti. Insomma, costa più inseguire questi soldi che quanto ipoteticamente si potrebbe recuperare. È pure vero che durante le audizioni si sono fatte avanti società private (ma anche pubbliche come Amco) per candidarsi a nuove azioni di recupero, ma questa soluzione avrebbe diverse difficoltà. Dunque, come detto, l’ipotesi al momento più accreditata sarebbe quella della cancellazione. Un primo pacchetto da “smaltire”, come del resto indicato dalla stessa riforma fiscale, è quello delle cartelle accumulate tra il 2000 e il 2010. Quelle considerate “irrecuperabili” ammontano a 225,77 miliardi di euro. Poi si passerebbe alle cartelle del 2011-2017. E in questo caso quelle in default varrebbero 219,54 miliardi. Infine si passerebbe al pacchetto del 2019-2024, il cui valore dei crediti ormai considerati non più riscuotibili è di 98,44 miliardi.

I PRECEDENTI

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Diversi Paesi europei hanno già seguito questa strada. La Francia ha cancellato il 15% del proprio magazzino di crediti erariali nel 2016 e circa il 19% nel 2017, il Belgio circa il 15% nel 2016 e circa il 13% nel 2017, la Norvegia circa il 12% ogni anno. Ma c’è anche un’altra ragione per cui questa operazione si è resa necessaria. Le cartelle emesse quest’anno cadranno sotto le nuove regole della riscossione Vale a dire che l’Agenzia delle Entrate avrà cinque anni per recuperarle, altrimenti le potrà restituire a chi le ha emesse che, a quel punto, o le recupererà da solo o le dovrà cancellare. Il Fisco, insomma, ha la necessità di concentrarsi sui crediti più recenti, quelli che hanno maggiori chance di recupero, senza disperdere le proprie energie su carichi che ormai sono irrecuperabili. E magari sgravarsi anche dal dover recuperare le somme per tutti gli enti pubblici, e non solo per lo Stato centrale. Ed è per questo che, in contemporanea, potrebbe nascere una nuova agenzia di recupero dedicata agli enti locali sotto il cappello dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni, e con il contributo operativo della stessa Agenzia delle Entrate.


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