Un risparmiatore accorto ha investito per tutta la carriera lavorativa in vista della sua pensione. Con un classico portafoglio 60% azioni e 40% obbligazioni e un versamento mensile di 200 euro è arrivato in 40 anni a possedere un bel gruzzoletto di quasi 500 mila euro (i dati sono stati ricavati da una simulazione con lo strumento online Curvo), frutto di un tasso di crescita annuo del 4%.
Finalmente arriva il momento del ritiro dal mondo del lavoro. Il risparmiatore sa di aver fatto bene i compiti a casa, e di aver messo da parte un bel po’ di denaro per vivere in serenità la sua pensione. Ma la vera domanda arriva adesso: come si può impiegare davvero il denaro accumulato in tanti anni di investimento paziente? In altre parole: come effettuare quello che tecnicamente si chiama il decumulo del proprio portafoglio?
Un passaggio necessario??????
Saper uscire dagli investimenti è uno degli aspetti più importanti ma spesso sottovalutati della pianificazione finanziaria di un individuo. E questo perché l’impiego più logico del denaro accumulato – spostarlo nel conto corrente e usarlo per consumi, spese quotidiane e poste straordinarie – rischia di far evaporare il tesoretto in molto meno tempo di quello auspicato.
A rendere ancora più necessario un adeguato decumulo è la longevità: in un’Italia in cui, statistiche Istat alla mano, entro il 2050 ci sarà un over 65 ogni tre abitanti, le pensioni pubbliche (sempre che nel frattempo non intervengano riforme radicali, anche in tema di immigrazione) saranno sempre più magre. Insomma: si vivrà più a lungo (positivo) ma anche con costi maggiori e con assegni di partenza più magri.
Le fasi del decumulo??????
Alla base dell’idea di decumulo c’è la teoria del ciclo vitale del risparmio, formulata dall’economista Franco Modigliani che grazie a essa vinse il premio Nobel nel 1985, unico italiano ad aver mai conseguito il riconoscimento. La teoria, rappresentata graficamente in pagina, immagina le fasi della vita di un individuo come una collina: all’inizio il reddito è basso e inferiore ai consumi. Si contrae del debito che poi, man mano che le entrate crescono, viene estinto, e si genera del risparmio.
Una volta che si va in pensione crescono le spese (tra cui quelle sanitarie e per la gestione della longevità) e diminuiscono le entrate: se il risparmio accumulato non sarà sufficiente, si rischierà di essere sommersi dal nuovo debito che giocoforza si contrarrà in vecchiaia. È qui che entra in gioco il decumulo o meglio, voler essere pignoli, la seconda fase del decumulo: quella che riflette la transizione verso la pensione. Una prima fase, intorno ai 35-45 anni di vita, può essere quella necessaria ad alcune spese importanti come l’acquisto di una casa o l’istruzione dei figli.
Ecco perché uscire dagli investimenti diventa un passaggio essenziale. Ma come si può fare in concreto? Ecco le principali vie proposte dai consulenti finanziari.
Metodo 1: la regola del 4%?????
Una strategia di decumulo standard, facile da gestire anche in autonomia, è quella formulata dal consulente finanziario americano William Bengen negli anni Novanta. Il meccanismo è molto semplice: studiando le performance storiche dei mercati azionari e obbligazionari statunitensi su lunghissimi orizzonti temporali (a partire dal 1926), Bengen ha notato che c’è un limite di sostenibilità annua per uscire dai propri investimenti facendo sì che il capitale non si prosciughi per almeno 30 anni. Questo limite è stato appunto fissato al 4% aggiustato per l’inflazione (un cosiddetto tasso di prelievo sicuro), considerando un portafoglio formato al 50% da azioni e al 50% da obbligazioni.
Di fatto, l’uscita dall’investimento avviene in modo graduale, e intanto il resto del capitale continua a lavorare sui mercati. Numerosi studi successivi hanno applicato la regola del 4% a portafogli globali (quelli più congeniali a un investitore europeo) rilevando che il tasso di sostenibilità è un po’ più basso, intorno al 3%.
Il vero problema di questa strategia è il momento di inizio: se l’avvio del decumulo con il 4% avviene infatti in un periodo di mercati in forte calo – come il recente anno 2022 – la tenuta del capitale può essere intaccata in modo importante.
Metodo 2: la regola della tenda????
Uscire dagli investimenti, in buona sostanza, è spesso una necessità, ma se per qualsiasi ragione si sbaglia il tempismo (o non si può fare diversamente) si rischiano seri contraccolpi sulla tenuta di un capitale accumulato con tempo, pazienza e sacrifici. Anche perché, quando il capitale è arrivato al massimo, anche il rischio è massimo: un’oscillazione brusca della parte azionaria (in positivo o in negativo) pesa molto di più sul valore complessivo del portafoglio, rischiando di trasformare una fisiologica uscita da un investimento in un salasso finanziario.
Ecco quindi che nel 2016 Michael Kitces, a capo della pianificazione strategica della società di wealth management Focus Partners, ha proposto una nuova via per uscire dagli investimenti, basata su un uso chirurgico della componente obbligazionaria del portafoglio. Ribaltando la vecchia concezione per cui all’aumentare dell’età si abbassa la componente azionaria e si alza quella obbligazionaria del portafoglio. Kitces ha proposto di utilizzare gli ultimi anni prima della pensione per accumulare bond, costruendo per l’appunto una tenda (da qui il nome della teoria) sotto cui rifugiarsi nei primi anni del disinvestimento, per ridurre il rischio di esporsi a crolli del mercato azionario.
L’idea è che la componente obbligazionaria venga gradualmente utilizzata nei primi anni dopo il pensionamento, così che la quota azionaria torni a crescere in termini relativi. A quel punto il portafoglio sarà meno vulnerabile, e si potrà cominciare una fuoriuscita ordinata e costante.
Metodo 3: vivere di rendita??????
E se il modo migliore per uscire dagli investimenti fosse non uscirne affatto? Questo è il meccanismo alla base di una strategia di decumulo apprezzatissima anche in Italia, vista la storica predilezione dei risparmiatori per i bond e i titoli azionari che staccano dividendo.
L’idea alla base del cosiddetto income investing è quella di creare un portafoglio di strumenti finanziari che consentano di vivere di rendita (o meglio, di rendita passiva), senza dover mettere mano in nessun modo al capitale, che quindi continua a lavorare costantemente sui mercati. Per costruire un portafoglio di questo tipo servono gli strumenti adeguati: obbligazioni, Etf a distribuzione, azioni ad alto dividendo.
Con due avvertenze però. Primo, vivere di rendita è meno efficiente dal punto di vista fiscale, visto che su ogni singola distribuzione si paga la tassazione al 26% (tranne per i titoli di Stato, tassati al 12,5%). Secondo, l’apprezzamento del capitale degli strumenti finanziari di tipo income è giocoforza inferiore rispetto a quelli ad accumulazione, che possono beneficiare di tutto il potere dell’interesse composto. (riproduzione riservata)
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