Leader di filiera, il nuovo motore per la rinascita industriale europea


In un contesto internazionale attraversato da rivalità geopolitiche, salti tecnologici e pressioni economiche, un nuovo studio indica la via per trasformare la manifattura europea in un motore di sviluppo basato su innovazione e sostenibilità, affidandosi al potenziale delle aziende capofiliera.

Il quadro competitivo: un continente in cerca di slancio

Il panorama competitivo di questi anni è estremamente mobile: catene di approvvigionamento che si riadattano alle tensioni geopolitiche, capitali che si indirizzano verso Paesi con politiche industriali aggressive e una rivoluzione digitale che concentra in pochi trimestri trasformazioni destinate a ridefinire interi settori. In questo contesto fluido, l’Europa, pur forte di un patrimonio manifatturiero di prim’ordine, rischia di cedere terreno ai giganti statunitensi e cinesi, sostenuti da mercati domestici sterminati e da quadri regolatori compatti che consentono di scalare rapidamente innovazioni, investimenti e nuovo valore economico.

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Ad aggravare la situazione concorre una presenza ancora troppo limitata di campioni industriali pienamente inseriti nelle catene globali del valore. Secondo l’indagine, le imprese europee capaci di esercitare un’influenza determinante sull’ecosistema settoriale sono meno dell’uno per cento, eppure realizzano quasi due terzi del valore aggiunto manifatturiero e assorbono oltre il quaranta per cento degli investimenti privati in ricerca e sviluppo. La posta in gioco è alta: senza un salto di qualità nella capacità di far crescere nuove aziende leader, l’intera architettura economica continentale rischia di rimanere ancorata a modelli del passato.

Lo studio “Driving the Future”: obiettivi e metodo

È in questo quadro che s’inserisce la ricerca «Driving the Future: lead firms as engines of innovation and sustainability for Italian and European industrial value chains», frutto della collaborazione tra Teha Group e Philip Morris Italia e presentata alla cinquantunesima edizione del Forum di Cernobbio. Lo studio mira a misurare in modo sistematico la funzione delle aziende capofiliera, colmando un vuoto statistico che finora ne aveva impedito una valutazione comparabile. Attraverso un approccio che integra interviste riservate con analisi quantitative, gli autori hanno esaminato oltre cinquemilatrecento imprese manifatturiere sparse nei ventisette Stati membri dell’Unione.

L’indagine è stata guidata da un Advisory Board di primo piano, composto da figure istituzionali ed economiche di rilievo quali Daniele Franco, Elżbieta Bieńkowska, Valerio De Molli, Pasquale Frega, Markus Kerber ed Enrico Letta. La pluralità di esperienze raccolte ha consentito di affinare un modello analitico innovativo: l’utilizzo di sistemi proprietari di intelligenza artificiale e web scraping ha permesso di valutare non solo i dati economici, ma anche la capacità delle imprese di elaborare una visione di futuro, identificando così i veri catalizzatori di competitività e sostenibilità.

Leader di filiera: laboratori di innovazione e crescita

Il profilo tracciato dallo studio evidenzia che le aziende capofiliera – pur rappresentando meno dell’uno per cento degli operatori manifatturieri – generano il sessantaquattro per cento del valore aggiunto del comparto e offrono lavoro a oltre due quinti della forza lavoro industriale. Esse convogliano risorse significative verso la ricerca: le prime cento in Europa investono circa 149 miliardi di euro, cioè il quarantadue per cento dell’intera spesa privata continentale in R&S. Questi numeri trasformano le imprese leader in veri e propri laboratori di futuro, capaci di sperimentare modelli produttivi che poi si diffondono lungo l’intera catena.

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Un caso emblematico è rappresentato da Philip Morris Italia, che fa da baricentro a una rete di ottomila fornitori e quarantquattromila lavoratori. L’azienda, assumendosi una responsabilità sia industriale sia sociale, investe in digitalizzazione, sostenibilità e formazione continua, agevolando l’adozione di soluzioni agritech da parte dell’ottantanove per cento delle aziende agricole coinvolte, contro il quarantasei per cento delle realtà esterne alla filiera. L’esperienza dimostra che quando un’impresa leader condivide tecnologia e competenze, l’intero ecosistema guadagna produttività e resilienza in tempi sorprendentemente ridotti.

Il nodo regolatorio e la frammentazione dei mercati

Nonostante la centralità delle imprese capofiliera, il contesto normativo europeo resta frammentato. Le società che operano su più Paesi devono confrontarsi con ventisette regole differenti su fisco, lavoro, standard tecnici e proprietà intellettuale, mentre i concorrenti statunitensi e cinesi godono di ordinamenti unificati che riducono costi e tempi di compliance. Valerio De Molli, amministratore delegato di Teha Group, lo ha sintetizzato con chiarezza: il mercato unico esiste sulla carta ma non ancora nelle pratiche quotidiane delle imprese, e questa condizione sottrae slancio alla nascita di nuovi campioni europei.

Senza un’armonizzazione più decisa, il rischio è di disperdere energie nella burocrazia anziché dedicarle all’innovazione. Il rapporto sottolinea che la frammentazione produce duplicazioni di processo, frena la scalabilità delle startup e limita le sinergie tra grandi aziende e PMI. Inoltre, definisce prioritaria l’adozione di regole stabili e prevedibili, in grado di garantire continuità agli investimenti di lungo periodo, elemento essenziale per sostenere la transizione green e digitale che l’Unione si è posta come obiettivo strategico per il prossimo decennio di sviluppo sostenibile.

Verso un Patto delle Catene del Valore

L’analisi propone di instituire un vero e proprio Patto delle Catene del Valore, destinato a trasformare le imprese leader in epicentri di competenze, capitale e tecnologie da diffondere lungo tutta la supply chain. L’idea si fonda su un principio semplice: se le aziende capofiliera condividono know-how, piattaforme digitali e risorse di ricerca con i partner più piccoli, l’introito di produttività e sostenibilità si amplifica su scala nazionale ed europea. Il patto diventerebbe così una leva concreta per accelerare le transizioni gemelle, verde e 4.0.

Le sperimentazioni già avviate in Italia indicano la portata potenziale di questo approccio: grazie ad accordi di filiera siglati sin dal 2011 con il Ministero dell’Agricoltura e l’organizzazione degli agricoltori, Philip Morris Italia ha favorito l’introduzione di pratiche digitali in quasi nove aziende agricole su dieci coinvolte nel progetto. Questi numeri dimostrano che, quando il quadro regolatorio crea certezze e incentivi, la collaborazione tra grandi player e PMI si traduce in investimenti tangibili, maggiore resilienza occupazionale e migliori performance ambientali per tutti.

Cinque raccomandazioni per la politica industriale europea

La ricerca traduce le proprie evidenze in cinque indicazioni operative rivolte a Bruxelles e alle capitali nazionali. Primo: assicurare continuità agli strumenti di sostegno all’innovazione, definendo standard normativi chiari e di lungo respiro che offrano alle imprese tempi di ammortamento coerenti con la portata dei loro investimenti in tecnologie a basse emissioni. Secondo: semplificare l’accesso ai finanziamenti, riducendo la frammentazione dei canali e promuovendo crediti agevolati e garanzie che incoraggino le PMI a partecipare ai programmi di ricerca e sviluppo guidati dai grandi player.

Terzo: investire con decisione nel reskilling, valorizzando partnership tra imprese leader, università e centri di formazione per aggiornare le competenze tecniche lungo l’intera catena del valore. Quarto: spingere sull’integrazione digitale delle filiere, promuovendo standard interoperabili, piattaforme di dati condivisi e incentivi fiscali per l’adozione di tecnologie 4.0. Quinto: istituire un organismo indipendente di monitoraggio che, con metriche trasparenti, misuri l’impatto dei Patti di Catena su produttività, occupazione e innovazione, permettendo correzioni di rotta rapide quando le politiche non producono i risultati attesi.

Una rotta tracciata per l’industria continentale

Il messaggio che emerge dal lavoro di Teha Group e Philip Morris Italia è inequivocabile: l’Europa possiede già gli ingredienti necessari per riaffermare la propria leadership industriale, ma deve saperli combinare attraverso un disegno strategico condiviso. In un’economia plasmata da tecnologie dirompenti e da nuove alleanze geopolitiche, la capacità di far crescere imprese leader robuste, connesse e orientate al futuro diventa la cartina di tornasole della competitività di un intero continente che intende preservare benessere sociale ed eccellenze produttive per le generazioni future.

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Affinché la rotta tracciata non resti sulla carta, sarà determinante l’impegno congiunto di istituzioni, imprese e mondo della conoscenza. Gli autori dello studio mostrano che, laddove l’ecosistema riconosce alle aziende capofiliera il ruolo di propulsori di cambiamento, la crescita si accompagna a ricerca, lavoro qualificato e transizione verde. Se l’Unione saprà trasformare questi insight in scelte di policy coerenti – dal completamento del mercato unico alla nascita di un Patto delle Catene del Valore – l’industria europea potrà tornare ad essere riferimento globale per innovazione e sostenibilità.



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