La startup è tra le prime realtà al mondo ad aver implementato un sistema di «AI autonomy» – una sorta di autopilota – per un satellite commerciale attualmente in orbita
Controllare i satelliti con l’intelligenza artificiale, permettendo loro di muoversi nello spazio quasi senza intervento umano. Tra i primi innovatori di questa tecnologia a livello internazionale c’è una startup fondata da tre ingegneri aerospaziali italiani: Simone Chesi, che ne è il Ceo, 42 anni, la moglie e coetanea Veronica Pellegrini e il collega Marco Bianchi, 35, tutti e tre ex dipendenti della società Maxar che lavora per la missione Artemis della Nasa, quella che sta costruendo la base orbitante per il ritorno dell’uomo sulla Luna.
Dopo aver lasciato la Maxar, hanno fondato a Washington, Cus Gnc, startup con cui hanno sviluppato un’innovativa piattaforma (denominata «Space Pilot») che combina intelligenza artificiale e autonomia per il controllo dei satelliti. L’azienda è tra le prime realtà al mondo ad aver implementato un sistema di «AI autonomy» – una sorta di autopilota – per un satellite commerciale attualmente in orbita ad opera dell’azienda americana Sidus Space.
Il team guidato da Chesi ha deciso di avere una base anche in Italia e in queste settimane sta aprendo una sede a Torino. Ad agevolare il ritorno nel nostro Paese, il sostegno di circa 500 mila dollari ricevuto dall’incubatore CDP Venture che gestisce il programma «Take Off». A questo si aggiungerà, appena l’azienda aprirà formalmente in Piemonte, un finanziamento di 50 mila euro di ESA-BIC Torino, centro per lo sviluppo delle start up del settore spaziale. Un traguardo importante, se si pensa che la società è stata fondata soltanto un anno e mezzo fa.
«Ciò su cui stiamo lavorando – spiega Simone Chesi – è l’autonomia orbitale dei satelliti. Così come stanno emergendo sempre più veicoli autonomi sulla Terra, anche nello spazio cresce la necessità di satelliti capaci di prendere decisioni autonome. Space Pilot è un software che viene installato a bordo e che consente al satellite di autogestirsi, riducendo drasticamente la dipendenza dal controllo a terra. Evolve a ogni missione, impara da ogni volo, diventa sempre più capace di adattarsi ai problemi che incontra. Insomma, tipo Skynet di Terminator (la super intelligenza artificiale del noto film con Arnold Schwarzenegger, ndr) ma più amichevole. L’obiettivo è che i satelliti siano in grado di decidere da soli di bypassare un sensore guasto o ridurre l’uso di un attuatore malfunzionante oppure reagire se un satellite non amico si sta avvicinando troppo».
Nello spazio, se qualcosa si rompe, non c’è possibilità di riparazione: è perso per sempre. Dunque, sono in tanti a porsi il problema e cercare soluzioni. «Sempre più startup e aziende – sottolinea Chesi – stanno lanciando missioni, dal rifornimento orbitale con le cosiddette stazioni di servizio dello spazio ai data center in orbita, all’esplorazione lunare. E tutte hanno lo stesso problema: devono scalare senza avere i budget di NASA o Agenzia Spaziale Europea. Non possono infatti permettersi grandi team a terra per seguire pochi satelliti, né hanno accesso illimitato alle ground station, ovvero le strutture terrestri che permettono la comunicazione con veicoli spaziali. Per questo, c’è una fortissima domanda di satelliti capaci di operare con pochissimo o alcun supporto da terra, capaci di reagire da soli a situazioni anomale, prendere decisioni operative, adattarsi ai guasti e fare tutto questo in tempo reale, senza dover aspettare che completino un’orbita intera per ricevere istruzioni».
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