«Gli Stati Uniti chiamano le Pmi del Made in Italy. Da Intesa Sp 11 miliardi»


«Sarebbe un grande errore utilizzare il fenomeno dei dazi come scusa per ridurre la presenza o per evitare di venire in America a fare business. Sarebbe un’occasione persa». Stefano Barrese, a capo della divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo, sta accompagnando a San Francisco una missione con 12 piccole e medie imprese italiane nella Silicon Valley. Un tour tra le sedi della Big Tech e i centri di ricerca delle principali università per approfondire le opportunità dell’Ia, incontrare venture capitalist e avere scambi con soggetti istituzioni o consulenti per la parte regolatoria. Un viaggio nell’ecosistema californiano che genera un terzo del pil mondiale, grazie al quale il banchiere si dice «sempre più convinto che questo è il nostro secolo: perché nel mondo – a differenza di quanto avviene in Italia – c’è sempre meno presenza di manifattura, di industria. Negli Stati Uniti sono molto bravi nel costruire software utilizzando l’intelligenza artificiale, ma poi guardano alla capacità degli italiani per integrarlo all’hardware, con strumentazioni che poi fanno sì che la macchina funzioni».

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Mentre Donald Trump parla di «reshoring manifatturiero», le opportunità per le imprese italiane Oltreoceano si traducono in nuovi presidi commerciali, acquisizioni «per installare factory», ingresso di investitori fino allo scambio di know how. «Gli Stati Uniti – sintetizza Barrese – sono e rimangono la geografia più interessante per quello che riguarda i percorsi di innovazione. Le aziende che abbiamo portato nella Silicon Valley, non a caso, sono interessate a tecnologie, per esempio dell’Ia, da applicare alle loro produzioni tradizionali».

Nel 2024 Banca dei Territori aveva portato sulla West Coast 12 start up. Un anno dopo, nel pieno della stretta tariffaria voluta dall’amministrazione Trump, ha puntato sulle Pmi, che negli Usa esportano made in Italy per 17 miliardi sui 68 complessivi. Secondo il banchiere, è sbagliato «dare una lettura catastrofale a questo contesto: i dazi sicuramente incideranno, ma quanto è ancora presto per dirlo. Non credo che cambieranno le strategie delle imprese. Al momento non abbiamo visto effetti significativi se non un’accelerazione delle scorte che hanno aumentato il nostro export. E allo stesso modo dobbiamo capire il peso del dollaro e di una probabile risposta inflattiva in America. Finora gli extra-costi sono stati assorbiti in buona parte dagli importatori, ma non è da escludere che a breve possano essere divisi anche tra produttori e consumatori».

Banca dei Territori dal 2020 ha accompagnato con 11 miliardi le imprese italiane nei loro percorsi di internazionalizzazione. Soprattutto alle tradizionali attività di finanziamento e di advisory ha offerto alle Pmi servizi di finanza strutturata e specialisti dedicati all’execution dei programmi di sostegno. Soluzioni specialistiche per chi fattura in media 40 milioni all’anno.

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«Il tema delle piccole e medie imprese – aggiunge Barrese – è strategico per il Paese: producono la metà dell’export, hanno un forte grado di resilienza rispetto alle richieste del mercato. Se crescono loro, cresce l’Italia». La sfida, quindi, è creare un ecosistema all’americana tra «centri di innovazione presenti in Italia e altrove per il trasferimento tecnologico», investitori di lungo termine e meccanismi di incentivi semplificati. Soprattutto «per accrescerne la capitalizzazione» e favorire il passaggio generazionale. Al riguardo il banchiere, più che al venture capital a stelle e strisce, guarda a soluzioni di «private equity, perché la crescita dimensionale si fa più attraverso le operazioni di acquisizione che con le Ipo». Sul piano burocratico e regolatorio troppo onerose per queste realtà.

Infine, non meno utile per il mondo delle Pmi sarebbe rafforzare tutti i soggetti istituzionali deputati all’internazionalizzazione. Barrese propone di «rendere strutturale un soggetto che faccia scouting, che indichi alle nostre aziende tutte le opportunità nel mondo per fare business. E che sia anche vetrina delle nostre eccellenze». Non solo in America, ma anche «verso direttrici geografiche come Arabia Saudita, Emirati Arabi, Vietnam, Indonesia, Brasile o Argentina».


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