Reggio Emilia «La crescita economica deve essere la priorità, per il governo e per l’opposizione. Bene che se ne parli alla Festa, perché troppo spesso il tema è invece trascurato». A dirlo è Giorgio Gori, eurodeputato del Pd, che questa sera (4 settembre 2025) alle 20 sarà tra i relatori dell’incontro “Sviluppo e crescita: quale strada per l’Italia?” alla Festa nazionale dell’Unità, nella sala Nilde Iotti. Con lui Daniela Fumarola, Simone Gamberini e Maria Cristina Tajani; modera Michele Angella.
Onorevole, la scarsa crescita è un problema atavico…
«L’Europa cresce poco, e Italia cresce meno della media europea. Le previsioni del Fondo Monetario parlano di uno 0,5% per quest’anno e di uno 0,8 per il prossimo. È un dato deludente, soprattutto per un Paese con tremila miliardi di debito. Anche perché stiamo usufruendo delle risorse del Pnrr, che presto finiranno».
Il governo rivendica di aver tenuto i conti sotto controllo.
«È vero e questo si riflette sullo spread. Ma non basta: senza crescita l’Italia non regge. Il rischio è che gli interessi sul debito corrano più del Pil, aggravati dall’invecchiamento della popolazione».
Perché l’ Italia non cresce?
«Il problema riguarda anche l’Europa, che da decenni perde terreno rispetto a Stati Uniti e Cina. La produttività è stagnante a causa dell’andamento demografico e perché manca il traino di settori ad alta intensità tecnologica. L’Italia però ha tutti i difetti dell’Europa al quadrato: natalità più bassa e popolazione più anziana, basso tasso di occupazione, imprese troppo piccole. Il 94% ha meno di dieci dipendenti, e questo limita gli investimenti in ricerca».
Anche gli stipendi ne risentono.
«Di conseguenza. Dal 1991 al 2023 i redditi italiani, a parità di potere d’acquisto, sono arretrati del 3,4%. Nello stesso periodo, negli altri Paesi Ocse sono cresciuti del 30%. È la fotografia di un Paese che non cresce, non crea valore e non può quindi redistribuirlo».
L’economista Francesco Giavazzi dice che il governo fa poco per la concorrenza.
«La destra è statalista e corporativa: tutela i privilegi di categorie come balneari e taxi invece di aprire i mercati. Anche il provvedimento “Industria 5.0” è stato gestito male: la maggior parte delle risorse, che vengono dal Pnrr, non è arrivata alle imprese».
Lei è stato sindaco di Bergamo: i sindaci reggiani hanno lanciato l’allarme sulla tenuta dei servizi.
«I tagli statali riducono le risorse, mentre aumentano i bisogni sanitari e assistenziali di una popolazione più anziana. Sui bilanci dei comuni pesano anche i crescenti oneri per l’assistenza ai ragazzi disabili e i costi per i minori stranieri non accompagnati, che il governo non copre come dovrebbe. Solo un’economia dinamica può garantire lo Stato sociale».
Graziano Delrio dice che il Pd guarda troppo a sinistra. «È un rischio reale. Se ci presentiamo con una coalizione troppo sbilanciata a sinistra difficilmente saremo competitivi. Il Pd nasce come partito di centrosinistra. Deve porsi come riferimento per i mondi produttivi, con il ceto medio, per i giovani che aspirano a costruire la loro vita e per gli elettori non schierati che chiedono rassicurazione».
Alle regionali il Pd punta sul “campo largo” con i 5 Stelle. È d’accordo?
«Schlein si era prefissata di schierare il “campo largo” in tutte le regioni al voto e mi pare ci stia riuscendo. In diversi casi, penso a Ricci, Decaro o Giani, con ottimi candidati, tutti di solida cultura riformista. Colpisce però il prezzo pagato: candidature cedute ai Cinque Stelle in Campania e Calabria, faticosi accordi coi leader del recente passato, programmi condizionati dall’agenda grillina, come in Toscana. A livello regionale può forse essere accettabile. A livello nazionale, se la coalizione sarà troppo sbilanciata a sinistra, rischia di non essere credibile come alternativa di governo».
Intanto il centrodestra resta compatto.
«Ha una tradizione di coesione intorno al potere. Le differenze tra Lega e Forza Italia sono macroscopiche, ma quando si tratta di ministeri e assessorati trovano il modo di mascherarle. Meloni ci aggiunge abilità politica, nonostante gli scarsi risultati, e si avvantaggia degli spazi che il centrosinistra lascia scoperti».
Ci si lamenta spesso dell’assenza dell’Europa.
«L’Europa è frenata dai veti degli Stati membri, molti dei quali governati da partiti nazionalisti. Draghi lo ha detto chiaramente: servono più investimenti comuni e più integrazione. Ma l’Italia, con l’attuale governo, è tra i primi Paesi a opporsi».
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