Finora, per le imprese, i muri invalicabili erano la burocrazia oppressiva, l’instabilità dei mercati o i prezzi delle materie prime.
Adesso, invece, cresce il numero di aziende che rinviano o rinunciano a fare investimenti oppure preferiscono non cogliere occasioni di business per l’assenza di personale con adeguate competenze digitali al loro interno. Fenomeno che riguarda due terzi delle realtà più innovative, ancora più preoccupante in epoca di doppia transizione.
LA DIFFICOLTÀ
Da un’indagine condotta da The European House-Ambrosetti e il Servizio Studi di Anie-Confindustria si scopre che «la difficoltà di reperire figure professionali qualificate rappresenta oggi uno dei principali freni allo sviluppo del settore elettrotecnico ed elettronico». Risultato? Il 70 per cento delle imprese ha ammesso di aver «dovuto rallentare o sospendere progetti strategici». Quasi il 30 per cento ha annunciato di aver «subito la perdita di opportunità di mercato». Spiega Renato Martire, vicepresidente di Anie-Confindustria con delega a Innovazione ed Education: «Il capitale umano non è solo un fattore produttivo: è la vera infrastruttura strategica del nostro futuro industriale. E l’industria italiana dispone del potenziale per guidare la trasformazione tecnologica e sostenibile. Tuttavia senza una strategia nazionale per le competenze, questo potenziale rischia di restare inespresso». In questo contesto di transizione accelerata, «il mismatch tra domanda e offerta di competenze rischia di diventare un freno alla crescita» Secondo le stime del settore, la digitalizzazione ha un giro d’affari vicino ai 40 miliardi di euro su spinta di IA e cybersecurity. Ma servirebbero oltre 600mila addetti in più. Non aiuta certamente la `crisi demografica in atto, ma le cause vanno ricercate altrove. Dalla ricerca si scopre che «il 75 per cento delle imprese segnala una carenza significativa di competenze tecniche e specialistiche, in particolare per tecnici e operai specializzati». Per esempio, solo il 49 per cento degli italiani possiede competenze digitali di base, contro la media Ocse del 71. Mentre è oggetto di formazione continua il 10 per cento della popolazione in età lavorativa e solo l’1 per cento ha svolto percorsi di livello terziario negli Its. «Le nuove figure professionali – sottolinea Martire – richiederanno competenze diverse rispetto al passato, in grado di integrare conoscenze tecniche e digitali con soft skill avanzate. Nei contesti industriali non parlerei di professioni destinate a “scomparire”, ma piuttosto di mansioni tradizionali che verranno trasformate. Per questo, la sfida non è solo creare nuove figure o profili professionali, ma offrire percorsi strutturati di upskilling e reskilling a chi già lavora, così da accompagnare l’evoluzione delle competenze all’evoluzione del mercato del lavoro».
LA PROPOSTA
Anie, per colmare questo mismatch, chiede un patto tra produttori, istituzioni e realtà della formazione. «Oggi – conclude il vicepresidente Martire – manca un coordinamento stabile tra sistema formativo e imprese. I programmi scolastici e universitari spesso non sono aggiornati. In questo quadro è altresì fondamentale il contributo diretto di formatori provenienti dalle aziende, che possono portare in aula conoscenze pratiche e garantire un migliore allineamento della didattica alle esigenze reali del mercato del lavoro».
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