di Ivan Simeone
i.simeone@virgilio.it
Nei giorni scorsi si è conclusa la 46° edizione del meeting internazionale di Rimini, un appuntamento estivo di dibattito e confronto, anche governativo, che è divenuto ormai una tradizione.
Si sono susseguiti dibattiti, confronti, eventi culturali…ma cosa ci ha lasciato? È solo una “passarella” del potente di turno o vi è dell’altro? Ho avuto modo di seguire “da remoto” (mio malgrado) i lavori di quest’anno ma è sempre difficile cercare di raccontare il meeting. Non è possibile se non lo si vive tra gli stand, partecipando agli incontri e respirando un’area di condivisione.
Non è difficile parlare dell’intervento di Giorgia Meloni, con una immensa e spontanea standing ovation che ha mandato in fibrillazione tutta la sinistra nostrana, Rosy Bindi compresa (che non si sentiva da tempo); Una immensa platea “cattolica” che ha applaudito la Presidente Meloni dei Fratelli d’Italia… inaudito per una sinistra che credeva di avere il monopolio intellettuale dell’area cattolica. Ci sono rimasti malissimo. Amen.
Si è parlato di lavoro e di impresa. Sono passati Ministri e uomini di cultura. I riflettori di tutta la stampa puntati sulla settimana di Rimini come “bussola” per comprendere quello che accadrà nei prossimi mesi, gli umori come le alleanze…ma sempre su un piano prettamente “politico”.
Non si riesce a comprendere come il meeting, pur cambiato in questi anni rispetto a quello delle origini, ha sempre in sé il valore “dell’incontro con l’altro”, il mettere al centro il valore e i bisogni della Persona. È un Evento che genera il desiderio di andare in fondo alle cose, di testimoniare i propri valori nel quotidiano anche andando controcorrente.
Il meeting genera amicizie e crea reti di collaborazione. È un dare un senso diverso all’attività in azienda come nel proprio studio professionale. Ti dà l’opportunità di dare un senso diverso alle cose e poi sta alla persona di raccogliere o meno questa sfida personale.
Interessante la presenza di molti “pontini” al meeting di quest’anno.
Vediamo i dati di quest’anno. 800mila le presenze registrate. 150 convegni con circa 550 relatori italiani e internazionali. 17 spettacoli. Oltre 15° sono state le Aziende partner che hanno partecipato attivamente al meeting, ma il numero più importante è la partecipazione dei “volontari” che hanno raggiunto quota 3.000 unità, provenienti da tutto il mondo e il 60% sotto i trent’anni. Sono dati importanti che testimoniano come alla base del meeting, nel proprio DNA, non vi è un “evento commerciale” ma una testimonianza ed una voglia “di esserci” e fare la differenza.
Certamente il meeting non è l’incontro politico o il personaggio famoso di turno, ma –a mio avviso- la capacità di generare degli incontri per contribuire alla costruzione, anno dopo anno, di una Comunità viva e positiva.
Il meeting non può avere alcuna “etichetta”. Il meeting non è di nessuno se non del “Popolo del meeting”. Così il Meeting –come ha evidenziato Angelo Picariello dalle colonne dell’Avvenire- non appartiene ai numerosi analisti che passano oltre, credendo di sapere già tutto su di esso, ma è di quanti ogni anno con umiltà si fermano e prestano il loro tempo per renderlo possibile, di chi ci viene per testimoniare la sua esperienza e di chi – decine di migliaia – viene ogni anno solo per ascoltare, o “incontrare”.
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