La corsa al riarmo in Europa ha raggiunto livelli che non si vedevano dai tempi della Guerra fredda: secondo l’ultimo rapporto dell’Eda (Agenzia Europea per la Difesa), nel 2024 la spesa complessiva dei Paesi Ue ha toccato i 343 miliardi di euro, con un incremento del +19% rispetto all’anno precedente.
Una cifra record, spinta dal conflitto in Ucraina e dalla pressione per colmare il divario con gli Stati Uniti.
Spesa militare record
Secondo l’analisi dell’Eda, l’aumento della spesa militare è stato trainato soprattutto da “livelli record di acquisti di attrezzature e dai crescenti investimenti in ricerca e sviluppo”. L’impennata di spesa, spiega l’Agenzia, “riflette la determinazione degli Stati membri a rafforzare le capacità militari dell’Europa in risposta all’evoluzione del contesto di sicurezza”.
Ma ciononostante, l’Eda evidenzia come la spesa europea rimanga comunque inferiore a quella degli Usa, evidenziando la “necessità di investimenti sostenuti e di una maggiore collaborazione per massimizzare l’efficienza”.
Entro il 2025 la spesa per il riarmo europeo dovrebbe salire a 381 miliardi di euro, pari al 2,1% del Pil europeo, superando per la prima volta l’obiettivo del 2% fissato in ambito Nato. Ma l’orizzonte di lungo periodo è ancora più ambizioso: al vertice Nato dell’Aja è stato stabilito che entro il 2035 ogni Stato membro dovrà destinare il 5% del Pil alla difesa e alla sicurezza.
Riarmo in Italia: dai 32 miliardi attuali al rischio 100 miliardi
Per il nostro Paese, il percorso non è meno impegnativo. Secondo le stime Nato, nel 2024 l’Italia ha speso circa 32 miliardi di euro, pari all’1,5% del Pil. Roma ha promesso di raggiungere già nel 2025 la soglia del 2%, con una spesa attorno ai 42 miliardi di euro. Tuttavia, gran parte di questo aumento sarà frutto di un “gioco contabile”: nel calcolo verranno inclusi costi oggi classificati altrove, come quelli della Guardia di Finanza o della cybersicurezza.
Il salto più duro arriverà con l’obbligo del 3,5% del Pil per la sola spesa militare, a cui si aggiunge l’1,5% destinato ad altre voci legate alla sicurezza (infrastrutture critiche, innovazione, resilienza civile). In valori assoluti, significherà che l’Italia dovrà destinare oltre 100 miliardi di euro all’anno entro il 2035. Anche nella stima più prudente, l’aggiustamento richiederà tra 165 e 220 miliardi di euro aggiuntivi nei prossimi dieci anni.
Il riarmo e il nodo delle risorse
Il problema, come sempre, è quello delle coperture: la premier Giorgia Meloni assicura, da un lato, che l’aumento delle spese non sottrarrà “neanche un euro” a sanità, welfare e istruzione. Dall’altro lato, però, il timore concreto è che per trovare le decine di miliardi aggiuntivi non basterà unicamente tagliare qualche spreco.
Gli esperti ipotizzano quattro strade possibili, nessuna delle quali sarebbe indolore:
- i tagli alla spesa sociale sono storicamente la via più immediata per liberare risorse anche se questo andrebbe ad accentuare la cronica scarsità di risorse a settori già in sofferenza come la Sanità pubblica;
- l’aumento delle tasse potrebbe colpire carburanti, consumi e imprese;
- le privatizzazioni sarebbero utili a generare entrate una tantum ma sono giudicate insufficienti a coprire impegni di lungo periodo;
- fare nuovo debito è una strada che rischia di scontrarsi con i vincoli di bilancio europei e con i mercati finanziari senza considerare il fatto che il debito pubblico italiano ha già superato quota 3.070 miliardi di euro.
Il rischio è che l’Italia si trovi, nei prossimi anni, stretta tra il ruolo di partner affidabile della Nato e la pressione di un’opinione pubblica che chiede più ospedali, più scuole e più sostegno alle famiglie.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link