AI e manager: perché i dipendenti si fidano più degli algoritmi


La relazione tra dipendenti e manager si sta trasformando sotto la spinta dell’intelligenza artificiale. Se fino a poco tempo fa sembrava impensabile che un algoritmo potesse sostituire il giudizio umano nella valutazione delle performance, oggi una crescente percentuale di lavoratori vede nelle soluzioni AI un’alternativa preferibile al proprio capo. Il motivo principale non è l’entusiasmo per la tecnologia, ma la delusione per il modo in cui il feedback è attualmente gestito.

Il fenomeno è stato evidenziato da Emily Rose McRae, Senior Director Analyst di Gartner, nel corso del podcast ThinkCast. McRae cita un sondaggio condotto da Gartner su oltre 3.500 dipendenti a livello globale, che ha prodotto un dato sorprendente: solo il 13% degli intervistati ha dichiarato di non essere d’accordo con l’affermazione che un algoritmo fornirebbe un feedback più equo rispetto al proprio manager. Il 35% si è detto d’accordo, mentre il restante 52% ha mantenuto una posizione neutrale.

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Dati preoccupanti sulla fiducia nei manager

Ciò che colpisce non è tanto il favore verso l’intelligenza artificiale, quanto la sfiducia implicita nei confronti del feedback manageriale. Come osserva McRae, la domanda non chiedeva se i dipendenti fossero contenti di ricevere valutazioni da un algoritmo, ma se quest’ultimo sarebbe più equo rispetto al loro capo attuale. La risposta è un riflesso diretto della qualità del management percepita all’interno delle organizzazioni.

Molti dipendenti, soprattutto quelli che lavorano quotidianamente con strumenti digitali e hanno una forte esposizione ai dati, sanno che le loro attività sono tracciabili e misurabili. Tuttavia, spesso non vedono una connessione diretta tra i dati disponibili e il feedback ricevuto, che appare soggettivo, arbitrario o influenzato da dinamiche interpersonali. Questa frattura alimenta la sensazione che un algoritmo, basandosi sui dati reali, possa garantire maggiore obiettività.

L’illusione dell’oggettività algoritmica

Il desiderio di ricevere un feedback più equo non deve essere confuso con una piena fiducia nelle capacità valutative dell’intelligenza artificiale. La percezione di oggettività attribuita agli algoritmi è spesso un’illusione, come sottolineano numerosi studi sull’AI bias. Tuttavia, agli occhi dei dipendenti, anche un sistema imperfetto sembra più affidabile di un manager che non ha tempo, formazione o strumenti per fornire una valutazione coerente.

Un ulteriore elemento da considerare è il design delle interfacce AI. Come ricorda McRae, la maggior parte dei modelli linguistici generativi — come quelli integrati nei più noti strumenti di produttività — sono ottimizzati per rendere felice l’utente. Questo significa che il feedback ricevuto da un assistente virtuale potrebbe essere più indulgente, o comunque formulato in modo da confermare le aspettative dell’utente. Non si tratta quindi necessariamente di accuratezza, ma di percezione positiva.

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I limiti e i rischi dell’AI come “valutatore”

Affidarsi a un algoritmo per giudicare le performance individuali presenta rischi significativi, soprattutto se manca trasparenza nei criteri adottati. La valutazione è un processo complesso che include contesto, empatia, interpretazione di segnali deboli e competenze relazionali. Nessuna tecnologia è oggi in grado di replicare integralmente questo processo.

L’autrice cita un caso estremo: in un ospedale californiano, l’introduzione di sistemi AI per supportare le attività cliniche ha generato forte preoccupazione tra il personale infermieristico, che lamentava un impatto negativo sulla qualità delle cure e nessun canale di ascolto delle criticità sollevate. La protesta si è spostata all’esterno, fino a sfociare in una manifestazione pubblica. Questo caso, pur non riguardando direttamente la valutazione della performance, mostra quanto possa essere delicata l’adozione dell’AI in ambienti ad alta responsabilità e forte esposizione reputazionale.

Le aziende che vogliono introdurre strumenti di feedback automatizzati devono quindi porsi alcune domande fondamentali: quanto sono affidabili i dati utilizzati? Come viene costruito l’algoritmo? C’è un processo di supervisione umana? La ricerca Gartner suggerisce che, senza questi presupposti, si rischia non solo di peggiorare la qualità del feedback, ma anche di minare la fiducia organizzativa.

Soluzioni ibride: AI e umanità nella performance

Non è detto che l’alternativa debba essere binaria: o manager, o algoritmo. La prospettiva più promettente è quella di un’integrazione tra AI e manager, dove l’intelligenza artificiale fornisce supporto oggettivo e continuo, e il manager aggiunge il contesto umano, relazionale ed evolutivo.

Questa combinazione può migliorare la qualità del feedback, rendendolo più tempestivo, tracciabile e coerente, senza rinunciare alla capacità umana di cogliere dinamiche complesse. Richiede però un investimento serio in formazione, governance dei dati e progettazione dei sistemi di performance management.

Il dato emerso dalla ricerca Gartner non è solo una provocazione, ma un indicatore di malessere. I dipendenti che vedono un algoritmo come giudice più equo del proprio capo stanno lanciando un segnale chiaro: la fiducia nei manager non viene più data per scontata.



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