Cos’è l’Ires premiale e come funziona il tetto?


Guida completa all’Ires premiale 2025. Scopri come funziona il tetto al beneficio fiscale, i dubbi sul calcolo del costo degli investimenti 4.0 e la cumulabilità con i crediti d’imposta.

Nel panorama delle agevolazioni fiscali destinate alle imprese, l’Ires premiale rappresenta un’importante opportunità per quelle società che decidono di investire nella propria crescita e nell’occupazione. L’obiettivo della misura è chiaro: premiare con un significativo sconto d’imposta le realtà produttive più virtuose. Tuttavia, l’applicazione pratica di questa norma ha richiesto dei correttivi per garantirne l’equità e la sostenibilità per le casse dello Stato. Un recente decreto attuativo ha infatti introdotto dei paletti per evitare effetti distorsivi, legando più strettamente il vantaggio fiscale all’entità degli sforzi sostenuti dall’impresa. Di fronte a queste novità, molti imprenditori e professionisti si chiedono: cos’è l’Ires premiale e come funziona il tetto? Questa guida si propone di fare luce sul meccanismo dell’agevolazione, spiegando nel dettaglio il funzionamento del nuovo limite introdotto e analizzando i punti ancora incerti che attendono un chiarimento ufficiale.

In cosa consiste il vantaggio fiscale dell’IRES premiale?

Il vantaggio principale dell’IRES premiale consiste in una significativa riduzione dell’aliquota dell’Imposta sul Reddito delle Società. Per le imprese che riescono ad accedere al regime, l’aliquota ordinaria, attualmente fissata al 24%, viene abbattuta di quattro punti percentuali, attestandosi così a un ben più favorevole 20%. Questa agevolazione si applica al reddito imponibile relativo al periodo d’imposta 2025, che verrà quindi dichiarato nel modello Redditi 2026. La misura è rivolta a una platea specifica di soggetti, che include le società di capitali (come S.p.A. e S.r.l.), gli enti commerciali residenti nel territorio dello Stato e le stabili organizzazioni di soggetti non residenti. Il risparmio d’imposta che ne deriva può liberare risorse finanziarie importanti, che possono essere reinvestite per sostenere ulteriormente la crescita e la competitività aziendale.

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Quali condizioni bisogna rispettare per accedere al regime?

L’accesso all’aliquota ridotta del 20% non è automatico, ma è vincolato al soddisfacimento congiunto di una serie di requisiti che dimostrano un comportamento virtuoso da parte dell’impresa. Le condizioni si articolano su tre pilastri fondamentali: il rafforzamento patrimoniale, l’innovazione tecnologica e il sostegno all’occupazione. In primo luogo, l’azienda deve dimostrare di voler reinvestire i propri profitti, accantonando una quota rilevante degli utili realizzati nell’esercizio 2024 in un’apposita riserva di patrimonio netto.

Successivamente, una parte di questi utili accantonati deve essere concretamente destinata a investimenti qualificati. La norma è molto specifica su questo punto: sono ammessi solo gli acquisti di beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive situate in Italia, che rientrano nelle categorie dei beni “Industria 4.0” (contenuti negli allegati A e B della Legge 232/2016) o dei beni “Transizione 5.0”, finalizzati a progetti di innovazione che portano a un risparmio energetico. Infine, l’impresa deve dimostrare il proprio impegno sul fronte occupazionale, garantendo di non aver ridotto il numero medio di lavoratori e, al contempo, di aver effettuato nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato che costituiscano un effettivo incremento dell’organico.

Come funziona il ‘tetto’ legato al costo degli investimenti?

Una delle novità più rilevanti, introdotta da un decreto ministeriale di attuazione, riguarda il meccanismo che lega il beneficio fiscale all’entità degli investimenti effettuati. Per evitare che un investimento minimo potesse sbloccare un risparmio fiscale sproporzionato su redditi molto elevati, è stato introdotto un tetto. Il suo funzionamento è specifico: l’importo totale del beneficio fiscale (ovvero il risparmio del 4% sull’imponibile) non può superare il costo sostenuto dall’impresa per gli investimenti qualificati in beni 4.0 o 5.0.

Per chiarire il concetto con un esempio pratico, supponiamo che un’azienda abbia un imponibile IRES di 10 milioni di euro per il 2025. Il risparmio fiscale teorico sarebbe di 400.000 euro (il 4% di 10 milioni). Se l’azienda ha realizzato investimenti ammissibili per un costo di 300.000 euro, il suo beneficio fiscale non potrà eccedere questa cifra. Di conseguenza, l’aliquota agevolata del 20% non si applicherà all’intero imponibile di 10 milioni. Si applicherà solo a quella parte di reddito il cui 4% corrisponde a 300.000 euro. Il calcolo è: 300.000 / 0,04 = 7,5 milioni di euro. Pertanto, l’azienda pagherà l’IRES al 20% su 7,5 milioni e al 24% sulla restante parte di 2,5 milioni.

Come funziona il meccanismo dell’Ires premiale?

Il meccanismo dell’Ires premiale, introdotto dalla legge 207/2024, è concepito per offrire un vantaggio fiscale concreto alle società che soddisfano tre specifiche condizioni di accesso:

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  • l’accantonamento di una quota di utile a riserva;
  • la realizzazione di un ammontare minimo di investimenti qualificati;
  • un incremento del numero dei dipendenti.

Una volta superate queste tre soglie, la normativa primaria prevedeva che la società potesse applicare un’aliquota Ires ridotta, pari al 20% invece dell’ordinario 24%, all’intero imponibile fiscale relativo all’anno 2025 (da dichiarare nel modello Redditi 2026). Il problema di questa impostazione iniziale risiedeva nella totale assenza di correlazione tra l’entità del beneficio e l’ammontare degli investimenti o delle assunzioni. In teoria, un’impresa avrebbe potuto, con investimenti e accantonamenti relativamente modesti e l’assunzione di un solo dipendente, ottenere un risparmio fiscale del 4% su un imponibile di decine o centinaia di milioni di euro. Questo avrebbe potuto generare un impatto anomalo e indesiderato sul gettito erariale, premiando in modo sproporzionato realtà con imponibili molto elevati a fronte di sforzi minimi.

Quale tetto è stato introdotto al beneficio fiscale?

Per correggere la potenziale sproporzione del meccanismo originario, il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’8 agosto 2025 ha introdotto, con l’articolo 12, un tetto massimo al vantaggio ottenibile. La nuova regola stabilisce che l’importo del beneficio fiscale, che corrisponde al risparmio del 4% sull’imponibile agevolato, non può in nessun caso superare il costo sostenuto per gli investimenti rilevanti ai fini dell’accesso al regime, ovvero quelli in beni 4.0 o 5.0. Si tratta del costo effettivamente “rimasto a carico” dell’impresa.

Per comprendere meglio, facciamo un esempio pratico. Immaginiamo una società con un imponibile Ires per il 2025 di 10 milioni di euro. Il beneficio fiscale teorico, applicando l’aliquota ridotta, sarebbe di 400.000 euro (il 4% di 10 milioni). Se questa stessa società ha sostenuto investimenti qualificati per un costo di 300.000 euro, il suo beneficio non potrà superare questa cifra. Di conseguenza, l’aliquota agevolata del 20% non si applicherà all’intero imponibile, ma solo a una sua parte. Tale porzione si calcola dividendo il costo dell’investimento per l’aliquota di risparmio: 300.000 euro / 0,04 = 7,5 milioni di euro. Su questa base imponibile si applicherà l’aliquota del 20%, mentre la restante parte del reddito (2,5 milioni di euro) sconterà l’aliquota ordinaria del 24%.

Quale costo di investimento si usa per il calcolo?

L’introduzione del tetto ha risolto un problema ma ha contestualmente sollevato nuovi dubbi applicativi, che la relazione ministeriale al decreto non chiarisce in modo esplicito. Il primo interrogativo riguarda quale sia l’esatto ammontare degli investimenti da prendere a riferimento per il calcolo del limite. Non è chiaro se il costo da considerare sia unicamente quello minimo richiesto dalla norma come condizione di accesso al regime, oppure se si debba tener conto dell’intero costo effettivamente sostenuto qualora questo sia superiore alla soglia minima.

Questa seconda ipotesi, apparentemente più favorevole per le imprese che investono di più, aprirebbe un’altra questione. La normativa prevede un “periodo di sorveglianza”, ovvero un vincolo a mantenere i beni agevolati in azienda fino al quinto esercizio successivo. Se per il calcolo del tetto si considera l’intero valore degli investimenti effettuati, anche la parte eccedente la soglia minima dovrà sottostare a questo vincolo di mantenimento? Si tratta di un aspetto non secondario, che necessita di un chiarimento ufficiale per consentire una corretta pianificazione aziendale.

Come interagisce con i crediti d’imposta 4.0 e 5.0?

Un’ulteriore area di incertezza riguarda la coesistenza dell’Ires premiale con altri incentivi, in particolare con i crediti d’imposta per investimenti in beni 4.0 o 5.0. L’articolo 12 del decreto attuativo ribadisce la piena cumulabilità tra le due agevolazioni, ma non fornisce indicazioni precise su come calcolare il valore dell’investimento da usare come tetto quando è presente anche un tax credit. Il punto nodale è il concetto di “costo rimasto a carico” dell’impresa. Questo costo va calcolato al lordo o al netto del credito d’imposta?

Storicamente, per altre agevolazioni (come indicato nella circolare 4/E/2017), ai fini del calcolo della soglia di accesso si considera il costo dell’investimento al lordo di eventuali contributi. Non è però scontato che lo stesso principio valga anche per il calcolo del tetto massimo al beneficio dell’Ires premiale. Il credito d’imposta, infatti, è contabilmente un contributo in conto impianti che riduce il costo effettivo per l’azienda.

Riprendendo l’esempio precedente, se sull’investimento da 300.000 euro l’impresa beneficia di un credito d’imposta 4.0 del 20% (pari a 60.000 euro), quale sarà il valore da usare come tetto? Sarà 300.000 euro (costo lordo) o 240.000 euro (costo netto)? La differenza è sostanziale e determinerà una diversa porzione di reddito agevolabile. Anche su questo punto, un intervento chiarificatore da parte dell’Amministrazione Finanziaria è indispensabile.

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