tra hype, rischi di bolla e opportunità reali


L’intelligenza artificiale è senza dubbio la protagonista indiscussa dei mercati finanziari e tecnologici degli ultimi anni. Tuttavia, mentre cresce l’entusiasmo attorno alle sue potenzialità, emergono anche segnali che invitano alla cautela. Il confronto con la bolla delle dot-com di inizio millennio è sempre più frequente tra analisti e investitori, che osservano con preoccupazione la concentrazione di valore nelle cosiddette Magnificent Seven: Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla

Questi colossi rappresentano oggi oltre un terzo dell’indice S&P 500, una quota ben superiore rispetto al 15% detenuto dai principali titoli tecnologici durante il picco della bolla internet nel 2000. Una tale concentrazione aumenta inevitabilmente il rischio sistemico.

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Non è solo una questione di capitalizzazione. All’epoca della bolla dot-com, la corsa agli investimenti nelle infrastrutture di telecomunicazione portò a un’espansione eccessiva delle reti in fibra ottica, culminando in fallimenti catastrofici quando la domanda promessa non si materializzò nel breve termine. 

Oggi, la storia sembra ripetersi: le principali aziende AI stanno investendo centinaia di miliardi di dollari nella costruzione di nuovi data center, con una spesa complessiva che si avvicina ai trilioni di dollari, cifre un tempo associate solo al PIL delle grandi nazioni. La domanda che tutti si pongono è se questa corsa agli investimenti sia giustificata o se ci si trovi sull’orlo di una nuova crisi.

La domanda di Intelligenza Artificiale (AI): oltre il boom dei consumatori

L’attenzione mediatica è spesso rivolta all’adozione di massa di strumenti come ChatGPT, che nel solo mese di luglio ha superato i cinque miliardi di visite. Tuttavia, il vero impatto economico dell’AI si misurerà sulla base dell’adozione sia da parte dei consumatori che delle imprese.

Secondo i dati pubblicati dal National Bureau of Economic Research, circa il 40% della popolazione statunitense ha utilizzato sistemi di generative AI entro la fine del 2024, e il 23% li ha impiegati almeno una volta per lavoro nella settimana precedente al sondaggio. L’adozione dell’AI nel mondo del lavoro sta avvenendo a un ritmo più rapido rispetto a quello registrato per il personal computer o per internet nei rispettivi esordi, segno che ci troviamo di fronte a una tecnologia di uso generale destinata a trasformare profondamente l’economia.

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Eppure, la strada verso un ritorno economico tangibile è tutt’altro che semplice. Una ricerca condotta dal MIT su oltre 300 iniziative AI pubbliche, più di 50 aziende e centinaia di dirigenti, ha rivelato che il 95% delle imprese non sta ancora ottenendo ritorni dagli investimenti in AI.  Solo il 5% delle aziende analizzate ha avuto successo, grazie a tre fattori chiave: preferire l’acquisto di soluzioni pronte rispetto allo sviluppo interno, integrare l’AI direttamente nelle unità di business piuttosto che in laboratori centrali, e scegliere strumenti compatibili con i flussi di lavoro esistenti. 

Nonostante la difficoltà nel trasformare l’AI in valore concreto, il 90% delle aziende sta seriamente valutando l’acquisto di soluzioni AI, a conferma di un interesse diffuso che segue il classico hype cycle delle tecnologie innovative.

Un esempio emblematico è quello di Bank of America, seconda banca degli Stati Uniti, che ha destinato quattro miliardi di dollari a nuove tecnologie come l’AI. L’istituto ha sviluppato uno strumento che aiuta i banker a prepararsi agli incontri con i clienti, recuperando informazioni da diversi sistemi e riducendo drasticamente i tempi di preparazione.

Limiti e prospettive dei modelli AI attuali

L’espansione dell’uso dell’AI alimenta il dibattito sulle sue reali potenzialità e sulla sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo. Finora, i progressi sono stati trainati dai large language models, che migliorano con l’aumentare della potenza di calcolo e della quantità di dati disponibili. Tuttavia, alcune voci autorevoli del settore invitano alla prudenza.

Richard Sutton, pioniere dell’AI, già nel 2019 aveva osservato che i metodi generali che sfruttano la potenza computazionale superano quelli basati sull’ingegno umano e su euristiche complesse, definendo questa realtà come “The Bitter Lesson”. Recentemente, Sutton ha criticato l’eccessiva enfasi sull’aumento di scala, suggerendo la necessità di un cambio di paradigma verso agenti in grado di apprendere in modo continuo.

Anche Gary Marcus, noto critico dell’hype sull’AI, ha espresso perplessità sulle ultime versioni di ChatGPT, sostenendo che il modello di sviluppo basato esclusivamente sulla scala non rappresenta la strada giusta. Secondo Marcus, servono approcci alternativi, che potrebbero richiedere investimenti ancora maggiori in ricerca e sviluppo.

Bolla AI: tra eccesso di ottimismo e rischio di correzione

Il dibattito sulla possibile bolla dell’AI si fa sempre più acceso, soprattutto quando anche figure come Sam Altman, tra i principali artefici del boom attuale, mettono in guardia dal rischio di un mercato surriscaldato. Altman e altri investitori segnalano valutazioni alle stelle, capitali che inseguono modelli di business ancora non collaudati e il pericolo di costruire infrastrutture a un ritmo superiore rispetto alla domanda reale. Il timore non riguarda tanto il potenziale di lungo termine dell’AI, quanto le aspettative gonfiate che potrebbero preparare il terreno a una brusca correzione.

Il vero rischio, secondo molti osservatori, è quello di cadere in una visione binaria, oscillando tra l’entusiasmo irrazionale e la paura di una bolla imminente, senza cogliere le sfumature di un fenomeno complesso. Il potenziale di lungo termine dell’AI resta enorme, ma i mercati raramente seguono traiettorie lineari. Una correzione potrebbe rallentare temporaneamente la crescita, ma al tempo stesso rafforzare la disciplina negli investimenti e spingere verso una maggiore attenzione alla qualità dei modelli e al valore economico reale.

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Verso il futuro: disciplina, ricerca e valore concreto

Il futuro dell’intelligenza artificiale dipenderà dalla capacità di superare l’attuale fase di hype, puntando su ricerca avanzata, miglioramento della qualità dei modelli e investimenti mirati a generare valore misurabile per imprese e consumatori. Solo così sarà possibile evitare gli errori del passato e sfruttare appieno le opportunità offerte da una tecnologia destinata a ridefinire il nostro modo di vivere e lavorare.



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