TREVISO Aveva ottenuto 1,7 milioni di finanziamento pubblico per promuovere i propri marchi e il made in Italy all’estero, ma ha utilizzato quei soldi per fare cassa e per comprare società in difficoltà e spolparne il patrimonio fino a farle fallire. Per poi comprarne altre in una catena, nelle intenzioni, senza fine. Piano mandato gambe all’aria dalla Guardia di Finanza trevigiana che ha denunciato per truffa su finanziamenti pubblicie associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta un imprenditore padovano di 55 anni, Flavio Zanarella, con vari precedenti alle spalle per riciclaggio e truffa e molto attivo nel trevigiano dove controllava due aziende, e per cui sono stati predisposti gli arresti domiciliari, e altre 10 persone che si sono prestate a gestire, di volta in volta, le società da condurre a morte certa.
LA SVOLTA
Le indagini, partite da controlli che vengono abitualmente fatti quando si tratta di finanziamenti pubblici, hanno avuto un’accelerazione nel momento in cui gli investigatori della Guardia di Finanza del comando provinciale di Treviso, dopo aver sequestrato un telefonino, hanno trovato un gruppo WhatsApp dove gli indagati si scambiavano messaggi su come utilizzare i soldi dando indicazioni sui bonifici. Più una serie di documenti che, alla fine, si sono rivelati utilissimi per smascherare l’organizzazione. «Dalle indagini – spiegano gli investigatori – è emerso che il principale indagato, auto definitosi “business angel” di aziende in difficoltà, ha diretto, in maniera occulta, due società trevigiane della sua rete, riuscendo ad ottenere illecitamente, con una lunga serie di truffe e malversazioni, circa 1,7 milioni di euro di finanziamenti pubblici erogati da SIMEST S.p.a. per il sostegno ai programmi di crescita delle ditte, quali, ad esempio, quelli legati all’internazionalizzazione delle imprese». I fondi pubblici venivano richiesti per portare i marchi italiani e del made in Italy in mercati come quelli del Kuwait e dell’Albania partecipando a fiere ed eventi. Progetti però mai eseguiti: nessuno dei dipendenti delle due aziende, operanti nel settore delle macchine industriali, si è mai mosso dalla Marca o ha partecipato a eventi all’estero legati al marketing.
LO SVILUPPO
E proprio indagando su questa truffa allo Stato, gli investigatori delle Fiamme Gialle hanno scoperto anche il giro di soldi spostati verso altre aziende attraverso operazioni fittizie, spacciate come pagamento di materiali e prestazioni, che in realtà servivano solo per mascherare il passaggio di denaro da un conto corrente all’altro. Il milione e settecentomila euro incassato dai fondi statali è servito insomma da una parte per un illecito arricchimento e dall’altra “per fare musina”, come ha ammesso l’imprenditore padovano, da utilizzare nell’acquisto di aziende in difficoltà ma dai patrimoni solidi e quindi da razziare. Le due società controllate dal padovano sono alla fine state sottoposte a fallimento giudiziale, ma le loro risorse sono servite per acquistare almeno altri sei marchi da spolpare e portare a fallimento. In tutto questo c’è anche un effetto collaterale di non poco conto: i 56 dipendenti hanno perso il posto di lavoro.
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