di Avv. Riccardo Zanon – Studio Zanon, “Welfare Champion” al Welfare Index PMI, Autore del libro Welfare Aziendale e curatore scientifico della 4° edizione del Master Welfare Manager di Tuttowelfare.info
Il problema che si sta materializzando
Nel 2024 quasi due milioni di lavoratori hanno lasciato spontaneamente il loro posto: il secondo picco più alto di sempre dopo il 2022 e un segnale che la “Great Resignation” non è affatto finita, si è solo evoluta. Allo stesso tempo, il 78 % dei datori di lavoro italiani dichiara di non trovare le competenze necessarie – un valore superiore alla media globale. Il risultato? Tasso di turnover complessivo al 34 %, con punte del 47 % nei servizi.
E quando le persone restano, spesso lo fanno “in silenzio”: il 12 % dei lavoratori si definisce “quiet quitter”, cioè presente ma scollegato emotivamente dal lavoro. A ciò si somma un’emorragia di capitale umano: 156 000 giovani qualificati hanno emigrato nel 2024, il massimo da 25 anni, erodendo il potenziale di crescita del Paese.
Se la tua risposta è aumentare gli stipendi in linea con l’inflazione, sappi che l’aumento del costo del lavoro inciderà sul margine senza curare engagement e produttività. Serve altro.
L’anello mancante. Il welfare strategico, non il “buono benzina”.
Le aziende che trasformano il welfare da costo a investimento stanno già correndo su un binario diverso:
• Tre imprese su quattro hanno oggi un livello almeno medio d’iniziativa welfare, segno che il tema è maturato e si sta spostando sul core business.
• La Legge di Bilancio 2025 ha stabilizzato i fringe benefit a 1.000 €/anno (2.000 € per chi ha figli) fino al 2027, offrendo un credito d’imposta di fatto permanente alle politiche di people care.
• I premi di risultato restano detassati al 5 % e convertibili in welfare, ampliando ulteriormente il delta netto/brutto rispetto a un aumento salariale tradizionale.
• Il 70 % delle società quotate lega già parte dei bonus dei CEO a KPI ESG; dove presenti, questi pesano in media per il 20 % del variabile. In altre parole, il welfare è diventato misura di performance anche per la C-suite.
Perché funziona?
1. Efficienza fiscale – da fringe benefit a flexible benefit, ogni euro investito può costare fino al 40 % in meno rispetto a un aumento di RAL.
2. Talent magnet & retention – i pacchetti di wellbeing pesano più del differenziale retributivo per gli under 35, riducendo drastici costi di sostituzione.
3. Produttività misurabile – minore assenteismo, minor turnover, engagement che impatta direttamente sull’EBIT.
Il mito del “facciamo da soli” (Perché il fai-da-te costa caro)
Implementare un piano welfare senza governance esperta equivale a:
• Rischio legale: errata classificazione di un fringe benefit può generare accertamenti INPS/AE e sanzioni retroattive.
• Spreco di budget: benefit percepiti come “gadget” non migliorano né engagement né employer brand.
• Inerzia organizzativa: se il welfare non è agganciato a KPI e premi di risultato, nessuno in azienda lo presidia davvero.
Concretamente, ho assistito a un’azienda del retail che ha speso 400.000 € in voucher non utilizzati: il 38 % dei dipendenti non ha mai riscattato il codice. Soldi bruciati, “goodwill” zero.
La soluzione inevitabile. Il Master Welfare manager 4° edizione
Il Master parte a settembre 2025 e nasce con un obiettivo: mettere in mano a HR, CEO, consulenti del lavoro e avvocati la “cassetta degli attrezzi” per usare la normativa come leva di business, non come vincolo.
Formato ibrido: quattro martedì mattina online live + giornata conclusiva a Milano, clinic individuali su prenotazione, faculty mista di giuslavoristi, CFO, antropologi organizzativi. 30 posti massimo.
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“Il futuro appartiene a chi sa tradurre la norma in vantaggio competitivo. Il welfare strategico non è un benefit: è la tua polizza contro il prossimo shock di mercato.”
Ci vediamo in aula.
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