“Taglia la coesione per finanziare il riarmo”


Anche il prossimo bilancio Ue deve piegarsi a quella che per Ursula von der Leyen è la priorità irrinunciabile: riorientare l’economia del Vecchio continente a sicurezza e difesa. In parallelo si punta a rendere più efficiente la spesa comunitaria e raccogliere risorse per rimborsare i bond emessi per il Next Generation EU, pari a circa 25-30 miliardi l’anno dal 2028. Per farlo, Bruxelles intende ricalcare il modello del Pnrr, collegando gli esborsi al raggiungimento di obiettivi strategici concordati con i singoli Paesi, e accorpare i principali strumenti esistenti, a partire dai fondi per la coesione e lo sviluppo regionale. Le anticipazioni sulla proposta per il Quadro finanziario pluriennale 2028-2034 che la Commissione europea presenta mercoledì hanno già creato pesanti malumori.

Da un lato c’è l’accusa di un eccessivo accentramento dei poteri, visto che alla vigilia della riunione del collegio sono pochi i funzionari a conoscere l’entità delle risorse riservate ai vari capitoli di spesa. Dall’altro, l’idea che ogni Stato membro debba stilare un piano nazionale e ricevere i fondi sulla base dell’avanzamento della spesa viene rispedita al mittente dai correlatori del Parlamento europeo sul bilancio pluriennale, Siegfried Mureșan (Ppe) e Carla Tavares (S&D). “Rifiuteremo qualsiasi tentativo della Commissione europea di rinazionalizzare il bilancio o ridurlo a un bancomat per 27 interessi divergenti”, ha preannunciato Mureșan. E Tavares ha rincarato: “Non accetteremo in alcun modo un piano separato per ogni Stato membro, soprattutto su politiche essenziali come l’agricoltura o la coesione. Il rischio è smantellare uno dei pilastri storici dell’Ue”.

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Addio ai Por: verso un unico Fondo di partenariato – Oggi il quadro finanziario pluriennale vale circa l’1% del pil comunitario ed è suddiviso in tre parti quasi uguali: 387 miliardi di euro destinati all’agricoltura (la Politica agricola comune), 392 miliardi allo sviluppo regionale (Politica di coesione) e il resto per tutti gli altri capitoli. In nome della “semplificazione”, la Commissione vuole accorpare entrambi i pilastri della Pac – sviluppo rurale e pagamenti diretti -, il fondo di Coesione e di sviluppo regionale, il fondo sociale, la Politica comune della Pesca e (dal 2028) anche il Fondo sociale per il clima in un unico Fondo europeo per la prosperità e la sicurezza economica, territoriale, sociale, rurale e marittima sostenibili. L’idea, esplicitata nella bozza del regolamento vista dall’Ansa, è di superare l’attuale frammentazione e semplificare la governance, uniformando l’allocazione delle risorse secondo priorità politiche comuni.

I singoli Paesi attraverso il piano di partenariato nazionale e regionale potranno destinare ai vari settori i fondi in arrivo da Bruxelles. Ma le risorse che saranno erogate “in base al raggiungimento di obiettivi concordati in precedenza” tra le capitali e Palazzo Berlaymont. Il modello di attuazione è appunto quello del Fondo di Ripresa e Resilienza. Il pacchetto includerà anche tre strumenti speciali: una riserva finanziaria per l’Ucraina, uno strumento di flessibilità e uno ‘strumento unico di margine’. A completare la futura architettura finanziaria dell’Ue saranno il Fondo europeo per la competitività e il Global Europe, lo strumento di finanziamento per l’azione esterna.

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Critiche dalle opposizioni e da FdI – Pesanti le critiche. Le associazioni di rappresentanza degli agricoltori sono sul piede di guerra per il rischio di tagli alle risorse. E per gli eurodeputati le politiche di coesione ne uscirebbero annacquate. Secondo Valentina Palmisano e Pasquale Tridico, del Movimento 5 Stelle, “il Sud Italia e la Calabria in particolare pagheranno un prezzo salatissimo” perché la riforma “toglie la possibilità di spesa alle Regioni” per “dirottare una parte consistente di quei fondi per il riarmo. Cancellare la politica di coesione per finanziare una guerra è una vergogna assoluta che combatteremo in ogni sede istituzionale”. Sul bilancio pluriennale, rincarano, “ci sono le impronte digitali di Ursula Von der Leyen, del Commissario Raffaele Fitto, che ha la delega proprio alla Politica di coesione, e di tutte quelle forze politiche che li sostengono”. Più che scettico anche l’eurodeputato Pd e coordinatore per S&D in commissione Agri, Dario Nardella: “L’idea di ridurre la politica europea ad un negoziato bilaterale con 27 Stati membri annacquando la politica agricola e la politica di coesione in un unico fondo sarebbe semplicemente un suicidio. Per questo non convince minimamente l’ipotesi di un fondo unico di partenariato nazionale e regionale e non siamo affatto rassicurati dalla perdurante assenza di notizie certe sull’ammontare delle voci di bilancio”.

Anche Fratelli d’Italia, che la settimana scorsa non ha sostenuto von der Leyen in sede di voto sulla mozione di sfiducia nei suoi confronti, attacca: per gli eurodeputati Carlo Fidanza, capodelegazione del partito e coordinatore Ecr in commissione Agricoltura, Ruggero Razza, componente della commissione Bilancio, e Denis Nesci, coordinatore ECR in commissione Sviluppo regionale, si tratta di “un grave errore di metodo e di merito. Nel metodo, sbaglia la Presidente Von der Leyen a forzare la mano, ignorando le posizioni espresse ad ampissima maggioranza in queste settimane dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Nel merito, ribadiamo la nostra contrarietà alla contrazione e alla nazionalizzazione della politica agricola, alla riduzione della politica di coesione, alla marginalizzazione delle autonomie locali e alla previsione di nuove risorse proprie che si tradurrebbero in nuove tasse su imprese e cittadini”.

Anche all’interno della Commissione il dibattito sul fondo unico sarebbe stato intenso: i vicepresidenti Raffaele Fitto e Roxana Mînzatu, secondo rumor non confermati, hanno spinto per mantenere il ruolo dei territori nella gestione della spesa e per il mantenimento del fondo sociale nel bilancio.

Il Fondo per la competitività – Tra le altre novità certe c’è la creazione del nuovo Fondo europeo per la competitività, che accorperà 14 fondi attualmente esistenti (escluso Horizon) e sarà strutturato in quattro aree politiche tematiche: transizione pulita e decarbonizzazione industriale, leadership digitale, Salute, biotecnologie e bioeconomia e infine Resilienza, industria della difesa e spazio. Particolare attenzione sarà riservata a tecnologie critiche e catene del valore industriale, dalla manifattura ai materiali strategici, dai semiconduttori all’intelligenza artificiale, fino a spazio e difesa, appunto.

Le nuove entrate Ue: niente digital tax – Sul fronte delle entrate, oltre alle tradizionali risorse proprie come dazi doganali, contributi Iva armonizzati e prelievi sul Rnl il bilancio sarà alimentato da nuovi strumenti già decisi o in via di definizione: tra questi, la carbon tax alle frontiere (Cbam), il gettito del sistema di quote di emissione Ets, l’imposta sulla plastica non riciclata e in prospettiva accise su rifiuti elettronici e tabacchi, con un aumento delle accise anche sui nuovi prodotti assimilabili come la sigaretta elettronica. In discussione anche un contributo da parte delle grandi aziende attive nel mercato Ue con oltre 50 milioni di ricavi, ma l’unanimità necessaria tra i 27 rende l’ipotesi molto incerta. Stando alle ultime bozze è invece tramontata l’ipotesi di una digital tax comunitaria, prelievo mirato a colpire i big della rete come Google, Meta e Amazon. Non si materializzerà nemmeno il contributo basato sui profitti d’impresa come da primo pilastro della riforma sulla tassazione internazionale dell’Ocse, quello che prevedeva tassare le aziende in base a dove generano i ricavi e non in base alla sede del quartier generale ed è finito su un binario morto. Nei piani originari avrebbe affiancato il secondo pilastro, cioè la minimum tax al 15% per le imprese oltre i 750 milioni di fatturato, in vigore nella Ue dal 2024 ma ora in bilico visto che il G7 ha promesso a Donald Trump di esentare le multinazionali Usa.

Un bilancio da guerra? – Alla base del nuovo approccio c’è l’urgenza di adattare il bilancio a un contesto in cui l’Unione deve passare da un’economia di pace a una economia di sicurezza e difesa, sostiene la Commissione. Il riferimento è all’aggressione russa all’Ucraina e all’accelerazione impressa al processo di riarmo europeo. Proprio per coprire i costi del Ngeu e delle nuove esigenze strategiche è stato già previsto un aumento temporaneo del tetto massimo delle risorse proprie, dallo 1,4% a un massimo dell’1,4% + 0,6% del reddito loro nazionale.



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