Tra ritardi e opacità, la Commissione presenta il budget settennale. Sembra cucito sugli aumenti Nato, evoca il Pnrr, trascura i fondi essenziali per ridurre le diseguaglianze. Un mix micidiale di derive destrorse
Tra opacità, riunioni notturne e rinvii, finalmente nel pomeriggio di mercoledì la Commissione europea ha cominciato la presentazione del budget Ue per il settennato 2028-2034. Si tratta di un bilancio di lungo termine: per sua stessa definizione guarda al futuro.
Perciò da qui si può vedere a quale futuro guardi Ursula von der Leyen. Ed è una combinazione tossica delle peggiori derive destrorse: il sovranismo dei piani nazionali invece di una visione comune europea, l’imperativo del riarmo nazionale, i miliardi e miliardi fatti per nutrire le grandi imprese, il fondo sociale ridotto a riserva indiana.
Sovranismo à la carte
«La Commissione non ha rispettato neppure la promessa di farci avere i documenti». Rivolgendosi al polacco Piotr Serafin – che ha la delega al Bilancio e che si presenta dopo rinvii e ritardi davanti alla commissione Budget dell’Europarlamento per render conto della proposta – Siegfried Mureșan non tace l’indignazione.
Nonostante sia un popolare, proprio come la presidente che ha apparecchiato il tutto, l’eurodeputato stigmatizza il metodo non democratico – gli eurodeputati coinvolti poco nel processo e radunati «senza avere neppure i dati in mano» – e l’ossatura della proposta: «Voi volete rinazionalizzare il bilancio, far regredire l’unità europea». Si riferisce al fatto che la coesione e la politica agricola, assieme ad altre risorse, siano state mescolate dentro un nuovo contenitore. Ci saranno 27 «national and regional partnership plans», che ricordano il metodo Pnrr.
Il commissario alla Coesione Raffaele Fitto pare rievocarlo esplicitamente quando dice che «ci saranno milestones e targets, investimenti e riforme». Sta agli stati membri confrontarsi con von der Leyen, che in questo modo è convinta di tenere agganciati a sé i governi, del consenso dei quali ha bisogno, e che tratteranno su riforme e risorse. «Voi volete annacquare le storiche politiche agricola e di coesione, ridurre una visione comune alla somma di 27 agende, trasformare l’Ue in una cash machine», s’infuria Mureșan, prima frontiera del dissenso (le trattative interistituzionali sul bilancio andranno avanti per mesi e mesi).
Fitto puntella: «Ci saranno fondi preallocati, di cui 296 miliardi in pagamenti diretti agli agricoltori e la categoria delle regioni meno sviluppate». Ma pure da Roma s’infuriano: per il presidente Coldiretti «un taglio del 20 per cento delle risorse della politica agricola comune è un disastro annunciato».
La lista del dissenso è lunga: «Ora capiamo perché fino all’ultimo tutta questa segretezza», denuncia la presidente del Comitato europeo delle regioni Kata Tüttő. «Dietro il fumo c’è un piano-mostro pronto a inghiottire la politica di coesione nazionalizzando e centralizzando». Nelle “buste” nazionali finiscono anche miliardi per piani di rafforzamento delle frontiere, con gioia di chi – da Meloni a Tusk – fa del tema una leva di consenso.
Difesa e impresa
La commissaria socialista Roxana Mînzatu esibisce la quota sociale, «almeno cento miliardi» (stessa cifra che il budget alloca per la ricostruzione ucraina); ma è una riserva indiana nell’annunciato piano settennale da 2mila miliardi.
Von der Leyen lo presenta come «il più ambizioso mai proposto» (in modo «fuorviante», nota Mureșan pensando a inflazione e debito pandemico da ripagare). Ma oltre 400 miliardi sono attivabili solo con un «meccanismo di emergenza» (emergenza che per von der Leyen «è la nuova normalità») e 451 miliardi – un quarto di tutta la torta – vanno nel «fondo competitività» orientato a imprese e innovazione. Il fondo competitività da 451 miliardi contribuirà – per oltre 130 miliardi – all’ambito della difesa, per la quale le risorse aumentano.
La Commissione crea un collant fatto per aderire alla nuova gamba Nato (spese al 5 per cento, di cui 1,5 su infrastrutture): nell’ambito dei piani nazionali si potranno anche chiedere prestiti («catalyst Europe») anzitutto per la difesa, spiega Serafin. «Sapete che la Nato ha individuato punti da sviluppare per infrastrutture e mobilità militare: su questo passeremo da 1,7 a 17 miliardi», vanta Serafin.
Quadro d’insieme
Dai piani nazionali si osserva la frantumazione di una visione comune strategica europea: sembra il protagonismo degli stati nazionali invocato nel «gran reset» orbaniano; garantisce a von der Leyen il consenso dei governi mentre accentra potere. L’insistenza sui fondi per le frontiere asseconda la rincorsa dell’estrema destra e della sua propaganda. Il sacrificio delle vocazioni sociale e egualitaria – la deformazione della Coesione sotto le lenti della flessibilità, gli imperativi di difesa e competitività, il ridimensionamento della vocazione sociale – si accompagna all’iniezione di fondi Ue alle grandi imprese, anzitutto della difesa, sotto l’etichetta del «piano Draghi».
La Commissione è in linea con l’era trumpiana: cuce tutto sui nuovi obiettivi di spesa dell’Aia, della Nato, e si concentra sull’imperativo dello «scale up» (la grande scala d’impresa), rinnegando l’anima del bilancio Ue, che aveva la coesione per ridurre i divari, per integrare luoghi e fasce sociali ai margini; che aveva la sussidiarietà per far parlare territori e strategia comune; che ha fatto invidia agli altri continenti con il suo tessuto di pmi e con le sue politiche anti trust. Quella versione di liberismo manteneva una pluralità; ora tutto è schiacciato sulla mega-scala delle corporation.
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