La Commissione lancia il bilancio 2028-2034: un solo contenitore per Pac, fondi sociali e coesione. Tensione con il Parlamento, protesta di Coldiretti. Dubbi anche tra i commissari.
(Foto: la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen).
L’Unione europea volta pagina, ma rischia lo strappo con territori e agricoltori.
Una nuova architettura finanziaria
È un terremoto quello che si prepara a Bruxelles. Martedì 16 luglio 2025 la Commissione europea presenta il nuovo Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2028-2034: una riforma che non ha precedenti per portata e ambizione. Con un gesto di cesura radicale, l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen propone di concentrare oltre 540 programmi in un unico contenitore finanziario, il “Fondo europeo per la prosperità e la sicurezza economica, territoriale, sociale, rurale e marittima sostenibili”.
Dentro ci finiranno sia la Politica agricola comune (Pac) che i fondi di Coesione, ma anche il Fondo sociale europeo, la Politica comune della pesca e, dal 2028, il Fondo sociale per il clima. Tutti ancora esistenti formalmente, ma privati della loro autonomia finanziaria.
I fondi saranno erogati solo a fronte di “obiettivi misurabili concordati” tra Bruxelles e i governi, attraverso un piano di partenariato nazionale e regionale. Niente più linee di spesa separate, ma un unico flusso condizionato a riforme strutturali. I programmi manterranno le rispettive basi giuridiche, ma saranno svuotati della loro indipendenza gestionale.
In parallelo, Bruxelles propone nuove fonti di finanziamento per il bilancio Ue, tra cui accise ambientali, imposte sul tabacco e una nuova tassa sui profitti delle grandi imprese con fatturato superiore a 50 milioni di euro. L’obiettivo è rafforzare l’autonomia finanziaria dell’Unione e ridurre la pressione sui contributi nazionali.
La rivolta silenziosa di Coldiretti e territori
Ma non tutti applaudono. Mentre l’esecutivo si apprestava a svelare i dettagli del piano, la protesta è scoppiata nelle strade di Bruxelles.
*“Stanno cancellando la Politica agricola comune così come l’abbiamo conosciuta”*, ha denunciato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini durante una manifestazione sotto la sede della Commissione. *“Senza la centralità dell’agricoltura, l’Europa perde la propria anima rurale”*.
Nel mirino c’è il rischio che l’unificazione dei fondi penalizzi le aree interne e le imprese agricole, in un gioco al ribasso tra settori in competizione per le stesse risorse. Un timore condiviso da molti governi dell’Europa meridionale, che da sempre beneficiano dei due pilastri della Pac: pagamenti diretti e sviluppo rurale.
Fitto e Mînzatu frenano la corsa centralista
Anche dentro la Commissione non mancano le resistenze. Si riferisce di un confronto acceso tra la presidente von der Leyen e i vicepresidenti Raffaele Fitto (Italia) e Roxana Mînzatu (Romania), che avrebbero chiesto con forza il mantenimento del ruolo dei territori e l’autonomia del Fondo sociale europeo.
*“Accorpare non significa omologare”*, avrebbe sottolineato Fitto durante il collegio dei commissari.
Il Parlamento avverte: il bilancio non è un bancomat per gli Stati
Lo scontro non si ferma alla Commissione. Il Parlamento europeo ha già alzato il cartellino rosso.
*“Rifiutiamo qualsiasi tentativo di nazionalizzare il bilancio europeo e ridurlo a un bancomat per 27 interessi divergenti”*, ha dichiarato l’eurodeputato rumeno Siegfried Mureșan (Ppe), uno dei due relatori sul Qfp.
Dietro le critiche si nasconde una questione più profonda: il rischio di smantellare l’identità politica dell’Ue, costruita anche grazie alla presenza di strumenti distinti con obiettivi chiari e riconoscibili.
*“I cittadini sanno cos’è la Pac, sanno cosa fa il Fondo sociale. Accorpare tutto in un fondo unico rende l’Europa opaca”*, ha osservato l’economista Guntram Wolff in un commento online.
Un processo lungo e a ostacoli
La presentazione ufficiale è solo il primo passo. Il bilancio pluriennale richiede l’unanimità dei 27 Stati membri e il via libera del Parlamento. Ma il fronte dei contrari si allarga. L’Ungheria ha già lasciato intendere che non accetterà condizioni stringenti sulle riforme, la Polonia teme di perdere peso negoziale e la Francia guarda con preoccupazione alla ridefinizione della Pac.
Anche le nuove risorse proprie si annunciano controverse: almeno otto Paesi – tra cui Germania, Paesi Bassi e Svezia – hanno espresso perplessità sull’introduzione di nuove tasse europee, chiedendo invece una razionalizzazione della spesa.
Il grande dilemma europeo: efficienza o identità?
Il cuore del dibattito non è solo tecnico, ma squisitamente politico. Bruxelles sogna un’Unione più integrata e reattiva, capace di concentrare le risorse sulle grandi sfide comuni. Ma il prezzo potrebbe essere la fine di strumenti simbolici come la Pac e la Coesione.
“È la solita tentazione tecnocratica: risparmiare sulla complessità eliminando la diversità”, ha scritto il politologo bulgaro Ivan Krastev. “Ma un bilancio europeo che non tiene conto delle identità locali rischia di diventare una formula senz’anima”.
Il confronto è appena iniziato. Ma una cosa è certa: l’Unione che nascerà dal prossimo bilancio sarà profondamente diversa. E se l’obiettivo era “semplificare”, il risultato potrebbe essere un’Unione più divisa, più contestata e più fragile.
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