C’è un nuovo obiettivo intermedio dell’Ue sulla riduzione delle emissioni, finalmente


Dopo aver trascorso le ultime settimane in giro per l’Europa nella speranza di convincere i governi più scettici, Wopke Hoekstra, commissario Ue per il Clima, ha presentato ufficialmente il target intermedio sulla riduzione delle emissioni di gas serra nell’Unione europea: -90 per cento entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990.

Il nuovo obiettivo, annunciato con enorme ritardo rispetto alle attese, è molto importante per due ragioni: da una parte, aiuterà i governi nazionali a dare continuità al target del -55 per cento entro il 2030; dall’altra, permetterà alle imprese di pianificare gli investimenti nella transizione ecologica con maggiore lungimiranza e minore incertezza, anche – e soprattutto – in vista delle emissioni nette zero entro il 2050.

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«La Commissione punta a ridurre la dipendenza da importazioni di combustibili fossili per abbassare i prezzi dell’energia e come leva per rilanciare la competitività industriale. Ora spetta ai governi nazionali pianificare la transizione dei prossimi quindici anni, che dovrà passare principalmente dall’elettrificazione e dall’efficienza energetica dell’economia», spiega Luca Bergamaschi, direttore e co-fondatore del think tank per il clima Ecco.

Gli obiettivi al 2030 e al 2050 sono vincolanti, mentre quello al 2040 è il cuore di una proposta legislativa che dovrà essere sottoposta al Consiglio e al Parlamento europeo. Al momento, l’Ue ha ridotto le sue emissioni del 37 per cento e, stando a una recente analisi dell’esecutivo comunitario, è sulla buona strada per tagliarle del 54 per cento entro la fine del decennio: significa che, collettivamente, ai ventisette Stati membri manca un solo punto per festeggiare il primo traguardo sulla mitigazione climatica.

Il commento di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, esprime chiaramente la duplice natura della proposta legislativa annunciata in mattinata: «I cittadini europei, sempre più sensibili all’impatto dei cambiamenti climatici, si aspettano che l’Europa agisca. E l’industria e gli investitori si aspettano una rotta prevedibile. Abbiamo dimostrato di essere fermamente convinti del nuovo impegno a decarbonizzare l’economia europea entro il 2050. L’obiettivo è chiaro, il percorso è pragmatico e realistico».

Il riferimento al pragmatismo non è casuale. La proposta legislativa prevede infatti diverse opzioni di flessibilità per consentire ai governi di raggiungere più facilmente la tappa del 2040. La principale riguarda il ricorso ai (controversi) crediti internazionali di carbonio «di alta qualità», che permettono di finanziare progetti sulla riduzione delle emissioni in Paesi extra-Ue, spesso in via di sviluppo.

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A partire dal 2036 – il target del -55 per cento al 2035 non è soggetto a flessibilità –, gli Stati membri potranno acquistare crediti di carbonio fino a un massimo complessivo pari al 3 per cento dell’obiettivo finale. Bruxelles, quindi, non considererà soltanto la riduzione interna delle emissioni: una piccola parte del risultato (il 3 per cento, appunto) potrà essere coperta grazie alle emissioni risparmiate attraverso progetti green finanziati e realizzati fuori dall’Unione europea. L’acquisto dei crediti di carbonio – che certifica la riduzione di gas serra all’estero – dovrà essere regolato da un nuovo piano, che la Commissione presenterà nel 2026.

Le altre clausole di flessibilità comprendono l’inclusione delle tecnologie «permanenti» per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Ccs) nel sistema di scambio delle quote di emissioni dell’Ue (Eu-Ets) e una maggiore elasticità nello spostamento delle emissioni tra diversi settori economici (un vantaggio per quelli hard-to-abate, difficili da decarbonizzare). Hoekstra ha aggiunto che il nucleare avrà un ruolo sempre più centrale nella ricetta europea per tagliare le emissioni del 90 per cento entro il 2040.

Secondo Francesca Bellisai, analista per le Politiche Ue e la Governance di Ecco, «le opzioni di flessibilità non indeboliscono la proposta se il loro ricorso è marginale – non oltre il 3 per cento – e se accuratamente regolate. I crediti internazionali di carbonio, regolati dall’articolo 6 dell’accordo di Parigi, possono diventare una risposta potenzialmente utile per il finanziamento della cooperazione internazionale e in supporto al multilateralismo».

Gli ambientalisti sono meno ottimisti: «La maggior parte delle compensazioni internazionali non ha di fatto contribuito alla riduzione delle emissioni. Sono anche uno spreco di denaro, pubblico e privato: se vogliamo migliorare la nostra competitività, non ha senso spendere miliardi di euro per aiutare altri Paesi a decarbonizzarsi quando potremmo investire nel futuro della nostra industria e dei lavoratori europei», dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia. Secondo l’associazione ecologista, inoltre, la clausola favorevole ai sistemi di rimozione del carbonio «minerebbe l’integrità del sistema e ridurrebbe l’incentivo a ridurre le emissioni dell’industria pesante».



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