L’euro è salito ieri sopra 1,18 dollari, un livello che non era stato toccato da settembre 2021, prima di scendere in serata a quota 1,177. L’apprezzamento della moneta unica riduce le esportazioni delle imprese europee e abbassa l’inflazione e la crescita dell’Eurozona.
L’euro si è rafforzato del 9% dal «Liberation Day» del aprile e del 14% da inizio anno rispetto al dollaro, soprattutto a causa dei timori per economia e deficit degli Stati Uniti (in seguito alle politiche di Donald Trump) e per l’indipendenza della Fed (più volte attaccata dal presidente Usa).
L’effetto negativo dell’euro forte sull’export si aggiunge a quello dei dazi Usa che dovrebbero essere definiti al 10% per le aziende Ue. L’apprezzamento dell’euro potrebbe diventare un significativo freno alla crescita e all’inflazione oltre una certa soglia del tasso di cambio.
I timori di De Guindos
«Un livello di 1,17 dollari, e anche 1,20 dollari, non è un problema», ha detto il vicepresidente Bce Luis De Guindos a Bloomberg a margine del forum di Sintra, in Portogallo. «Qualcosa di più oltre la soglia sarebbe molto più complicato. Ma 1,20 dollari è perfettamente accettabile».
La Bce non ha obiettivi relativi al tasso di cambio, ma deve considerarne l’impatto su crescita e carovita. De Guindos ha osservato che «l’economia non va bene. Il tasso di crescita dell’area euro sarà inferiore all’1% nel 2025 e leggermente superiore nel 2026. I rischi sono chiaramente orientati al ribasso».
Il dollaro resta la valuta di riferimento del sistema finanziario internazionale, ma gli investitori (e anche le banche centrali globali) stanno diversificando le esposizioni puntando su oro e altre valute.
Inoltre i mercati prevedono tre tagli della Fed quest’anno (più altri due l’anno prossimo), solo uno in totale per la Bce (non nella prossima riunione del 24 luglio).
La linea di Powell
Il presidente della Fed Jerome Powell ha ricordato a Sintra che «una solida maggioranza di membri della Fed prevede che nel corso dell’anno sarà opportuno ricominciare a ridurre i tassi» e non ha escluso nessuna ipotesi per la riunione di fine mese.
Inoltre Powell ha fatto capire che la Fed ha fermato i tagli dei tassi a causa dell’impatto inflazionistico dei dazi per gli Usa. La banca centrale americana ha preferito aspettare per valutare meglio l’evoluzione dell’economia, alla luce della forte incertezza.
Powell ha rilevato che «la direzione del debito Usa non è sostenibile», ma ha risposto alle domande sugli attacchi di Trump precisando solo di essere «focalizzato sul lavoro da fare».
Lo scenario dell’Eurozona
Nell’Eurozona l’inflazione è tornata al 2% a giugno, secondo il dato pubblicato da Eurostat, in lieve rialzo rispetto all’1,9% di maggio. La presidente Bce Christine Lagarde ha detto a Sintra che per ora non si può parlare di missione compiuta sul carovita ma di «target raggiunto».
L’inflazione dovrebbe scendere sotto l’obiettivo nel 2026, per poi tornare al 2% nel 2027, secondo le proiezioni Bce. Alcuni analisti hanno però evidenziato il rischio di inflazione sotto le attese di Francoforte a causa della debolezza dell’economia e dell’apprezzamento dell’euro.
Secondo Lagarde il 2025 sarà ricordato come un anno «di svolta» poiché «gli investitori stanno cercando alternative» al dollaro. «È evidente che qualcosa si è rotto. La questione aperta è se sia riparabile», ha detto. Si vedrà se il rafforzamento della moneta unica diventerà un problema per la Bce e per l’Eurozona. Per Lagarde è finora «il riflesso delle condizioni di mercato e della forza dell’economia europea». (riproduzione riservata)
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