Le contraddizioni del campo largo sulla transizione energetica


Almeno sul clima il campo largo dovrebbe viaggiare con una linea condivisa e inchiodare il governo ad errori e ritardi che sono la ragione del costo dell’energia più alto d’Europa. Ma per ora non è così

Se c’è un tema su cui il “campo largo” dovrebbe viaggiare a vele spiegate, con una linea condivisa di contrasto al governo è la transizione energetica. E oggi più che mai ci sarebbero tutte le condizioni per accelerare l’iniziativa politica, visti gli ennesimi scenari di rialzo dei prezzi del gas e la totale inadeguatezza della maggioranza a prospettare una qualsiasi prospettiva credibile per le famiglie e le imprese che le cose possano cambiare.

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Ultimo, ma da non sottovalutare, la firma dell’accordo con la Nato per fare degli investimenti su carri armati, caccia e sistemi di difesa la priorità degli investimenti dei prossimi anni sottraendoli inevitabilmente ad altri obiettivi, tra cui proprio la lotta ai cambiamenti climatici.

Eppure, alla prova dei fatti, la solidità delle posizioni e la forza delle proposte dentro l’opposizione a Giorgia Meloni stenta a emergere e in particolare rispetto ad alcuni nodi politici ineludibili per chi sul clima vuole segnare una netta differenza con il governo e uno dei punti centrali dell’idea di futuro che si vuole proporre agli italiani.

Fonti rinnovabili

La prima grande questione riguarda le autorizzazioni per gli impianti da fonti rinnovabili. Secondo Confindustria ci sono 150 GW di progetti fermi e cresce la distanza in termini di competitività con Germania e Spagna, proprio perché lì il costo dell’energia si sta riducendo grazie alla crescita delle installazioni di pannelli e pale eoliche.

Il fallimento del governo in questo campo è evidente, malgrado promesse, decreti urgenti e testi unici nulla è davvero cambiato per gli impianti solari a terra, sui tetti e agrivoltaici, come per quelli eolici a terra e in mare.

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Invece di puntare su criteri trasparenti e responsabilità chiare sulle procedure, le norme risultano sempre più complesse e i progetti rimangono in balia dei tribunali. La ragione è molto semplice, essendo questi progetti non prioritari per la destra qualsiasi proposta di semplificazione finisce impallinata dalle regioni e dai funzionari del ministero dei Beni culturali. Ma veniamo al punto. Quali sono le proposte dell’opposizione?

Perché su un tema come questo c’è un grande spazio politico da occupare e si potrebbe costruire un asse con il sistema delle imprese per portare avanti chiare poste di semplificazione. Niente, l’opposizione è ancora più spaccata del governo. Perché in realtà la linea pro rinnovabili non è poi così forte e nelle regioni in cui il campo largo è al governo alla prima voce di un comitato o sindaco che protesta contro un pannello si blocca tutto. Esemplare la Sardegna, dove dopo lo stop alle rinnovabili, la giunta Todde ora punta tutto sul gas.

Imprese e famiglie

Se non si affronta il nodo dell’indipendenza energetica sarà impossibile nei prossimi anni dare risposta ai problemi di competitività delle imprese e di incertezza della spesa energetica per le famiglie. Oggi l’Italia ha prezzi più alti di quasi tutti i paesi europei proprio per la dipendenza dal gas, ma di tutto si discute tranne che di soluzioni per ridurne i consumi.

La strategia del governo punta su due pilastri: investimenti strategici in tutte le infrastrutture di approvvigionamento del gas da un lato e nuove centrali nucleari dall’altro. Per le opposizioni ci sarebbe spazio per inchiodare Meloni alle contraddizioni di soluzioni che non offrono alcuna prospettiva credibile di riduzione delle bollette e per ricordare gli errori commessi in questi anni.

Dopo il taglio del Superbonus si è infatti ancora in attesa di uno straccio di idea per la riqualificazione energetica delle case degli italiani. Da quasi due anni i comuni aspettano l’approvazione di un incentivo, il Conto termico 3.0, che dovrebbe consentire di mettere mano a scuole, ospedali, edifici di edilizia popolare.

Le comunità energetiche stentano a decollare per colpa di procedure complicatissime e in ritardo. Se poi l’opposizione presentasse anche qualche proposta per rivolgersi direttamente agli italiani con idee di buon senso il tutto sarebbe ancora più efficace. Un esempio? Semplificare l’installazione del solare sui tetti e ridurre l’Iva per impianti solari, pompe di calore, batterie di accumulo per famiglie e piccole imprese. Impossibile per i limiti di bilancio? Ma come, Meloni ha appena tagliato al 5 per cento l’Iva per l’acquisto di opere d’arte e beni di antiquariato, mentre ai balneari sono appena stati ridotti i già scontatissimi canoni!

L’ETS2

Infine, il problema politico più complicato all’orizzonte. Nel 2027 entra in vigore l’ETS2, ossia una delle riforme più importanti e delicate del Green deal europeo che prevede l’allargamento del sistema di tassazione delle emissioni di gas serra, oggi limitato a energia e a grande industria, anche ai trasporti e ai consumi di gas negli edifici.

La tassazione sarà sempre alla fonte, quindi non direttamente alla pompa di benzina o nella bolletta di casa, ma il rischio trascinamento è evidente.

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L’Ue prevede che le risorse generate dovranno andare a spingere proprio gli investimenti nelle alternative alle fonti fossili ed è stato introdotto uno specifico fondo sociale per il clima, per aiutare le fasce sociali più deboli e le micro imprese, che per l’Italia vale diversi miliardi di Euro. Dove sta il problema? Che una gestione inadeguata di questo processo potrebbe determinare conseguenze sociali rilevanti per l’ulteriore aumento della spesa energetica.

Il governo potrebbe finalmente mettere ordine nel caos delle accise sui carburanti, indirizzare le risorse generate per investimenti virtuosi e utilizzare quelle del fondo sociale clima per aiutare le famiglie più povere. Scelte per nulla banali di cui si dovrebbe chiedere conto a chi siede a palazzo Chigi.

Ma per ora dal Pd tutto tace, mentre gli europarlamentari Cinque stelle Pasquale Tridico e Dario Tamburrano chiedono lo stop all’ETS2. Un regalo incredibile a Meloni che ne potrebbe uscire, ancora una volta, come la leader più equilibrata e di buon senso. Viene in mente la frase di Antonio Gramsci in cui esortava a reagire al velleitarismo. A proporsi obiettivi discreti, raggiungibili. Era circa un secolo fa ma vale anche per i nostri tempi altrettanto complicati.

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