Private equity, i fondi lanciano la sfida alle big four. Ecco i dossier più caldi del risiko della consulenza




Ultim’ora news 28 giugno ore 17

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C’è un altro risiko in corso oltre a quello che potrebbe cambiare il volto del settore bancario. È quello della consulenza, partito ben prima e con dimensioni più internazionali, e che in via indiretta si ripercuote sul mondo del credito perché coinvolge gli advisor delle banche. Anche le media relation attraversano una fase di assestamento, ma in questo caso a tirare le fila sono i big del private equity.

Giganti come Cvc, Apollo e Icg si contendono un settore con ricavi annui stimati tra 250 e 300 miliardi di dollari a livello globale. Numeri in crescita soprattutto in Uk e Usa, dove è partito il risiko. Così come sono aumentate le società di consulenza, oramai più di 700 mila nel mondo, anche se il 40% del mercato resta in mano a dieci società: Accenture, McKinsey, Bcg, Booz Allen, Mercer, Bain, Deloitte, Pwc, Kpmg ed Ey.

I pesi massimi 

Le ultime quattro, note come «big four», hanno il dominio della revisione contabile, ma il loro oligopolio è finito sotto accusa dopo lo scandalo Carillion. Il fallimento nel 2018 del secondo polo dell’edilizia inglese, finito in liquidazione con un passivo di 7 miliardi di sterline, ha messo in dubbio il sistema di controlli delle big four, tutte consulenti del gruppo in ambiti diversi.

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Dopo il crack le autorità hanno spinto i quattro giganti a separare la revisione dalle altre funzioni per evitare conflitti d’interesse. E così sono nati degli spin-off che sin da subito hanno attirato i private equity. È questa la scintilla che ha acceso il risiko, poi alimentato da un altro trend legato sempre ai colossi del settore.

«L’oligopolio delle big four ha creato una situazione di mercato non soddisfacente. I giganti della consulenza offrono spesso servizi standardizzati perché, viste le dimensioni raggiunte, non riescono più a esaudire le esigenze particolari di alcuni clienti», spiega Mara Caverni, fondatrice e managing partner di New Deal Advisors. «Il quadro è complicato dall’estrema frammentazione (big four escluse) del settore, popolato da attori troppo piccoli per garantire una consulenza a 360 gradi. I private equity lo hanno notato e ora stanno guidando il consolidamento».

Salto negli Usa 

Il risiko si è allargato presto all’America. Qui i fondi si sono concentrati su società minori, aiutate a crescere per incrementare la concorrenza e contrastare lo strapotere delle big four. Uno dei casi più recenti è Grant Thornton Us, che dopo aver ceduto la maggioranza a un consorzio guidato da New Mountain Capital, ha puntato sei affiliate in Europa e Medio Oriente.

Ma i private equity non si limitano a comprare: creano anche nuove realtà. L’esempio più vicino è quello di Unity Advisory, società di consulenza lanciata da un ex partner di Ey e uno di Pwc con Warburg Pincus. L’obiettivo del fondo americano è sempre quello di creare valore, evitando però i rischi dell’m&a

L’Italia scalda i motori

Il fenomeno sta arrivando anche in Italia. C’è voluto del tempo perché il mercato dei capitali nazionale è più arretrato di quello anglosassone e il tessuto industriale ha dimensioni ridotte, con pochi giganti e tante pmi. Così i valori restano lontani da quelli degli Usa, dove i deal si aggirano almeno sui 2 miliardi. Ma anche in Italia la consulenza mostra segnali di dinamismo e nel 2023 (ultimo dato disponibile) ha generato un valore della produzione di oltre 6,6 miliardi di euro (fonte Assoconsult).

Nel Paese le operazioni crescono di pari passo con le dimensioni del settore. Tra i dossier caldi c’è quello di Bip, gruppo specializzato su Pa e aziende medio-grandi, che Cvc potrebbe cedere a Apollo o Icg per 1,5 miliardi. La multinazionale italiana è in campo anche in prima persona, perché sarebbe interessata alla società di comunicazione Comin & Partners.

Il risiko della comunicazione

Quello delle media relation è l’ultimo fronte apertosi in Italia, come conferma il caso Excellera, big che raggruppa Barabino & Partners, Cattaneo Zanetto & Pomposo e Community. Il gruppo è del fondo Xenon, che presto potrebbe cederlo a Icg, Pai o Rivean.

«Il mondo della comunicazione è popolato da alcuni giganti, ma si tratta soprattutto di player stranieri. In Italia, invece, il mercato è frammentato e mancano grandi attori», osserva Caverni. «Così i private equity hanno deciso ancora una volta di sfruttare l’occasione, anche perché il settore non è presidiato dalle big four, quindi gli spazi di crescita sono ampi».

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Nuovi deal in arrivo 

Quello della consulenza è un mondo con margini elevati, intorno al 20%. In Italia il comparto è cresciuto dell’8% nel 2024 e quest’anno è attesa una performance analoga (fonte Assoconsult). I fondi restano in agguato, anche perché i ritorni sono interessanti.

«Negli Usa si aggirano sulle 15 volte l’ebitda, mentre in Italia si possono raggiungere le 12 volte», racconta Caverni. «Certo, l’attuale contesto di mercato non è dei migliori per colpa della volatilità e dell’incertezza scatenata dai dazi e dalle guerre. Col tempo, però, i private equity sono diventati più pazienti e ora non puntano più a exit entro 4-5 anni, ma sono disposti ad allungare l’orizzonte degli investimenti a sette anni».

Anche le opzioni per monetizzare sono aumentate. Oltre alla vendita tra fondi, chi ha riunito più realtà minori a livello nazionale può provare a cederle a una piattaforma europea della consulenza. La rotta dell’internazionalizzazione può essere percorsa inoltre in prima persona, con la creazione di un gruppo su scala transnazionale: in questo caso tra le vie prescelte per l’exit c’è l’ipo. (riproduzione riservata)



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