Bollette scontate in cambio di energia verde nell’Energy Release 2.0


L’Italia ha ottenuto il via libera dalla Commissione Europea per l’Energy Release 2.0, un piano che promette elettricità da fonti rinnovabili a prezzo calmierato per le imprese più energivore del Paese. L’obiettivo è duplice: garantire competitività all’industria e accelerare la transizione ecologica, con l’installazione di nuovi impianti FER in cambio del beneficio economico.

Energy Release 2.0 potrebbe rivelarsi tanto innovativo quanto problematico, se mal gestito: dalla complessità burocratica al rischio di impianti “green” imposti ai territori, fino ai meccanismi di sanzione per chi non rispetta gli impegni.

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Cos’è il piano Energy Release 2.0

La Commissione Europea ha dato l’ok alla misura Energy Release 2.0. Si tratta del piano proposto dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per il sostegno delle imprese energivore. Secondo la Commissione Europea, il piano è compatibile con le regole del mercato interno e con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato.

Energy Release 2.0 è un meccanismo creato dal Gestore dei Servizi Energetici per offrire un’energia rinnovabile, ma a prezzo calmierato, alle aziende energivore. Si tratta proprio di quelle aziende che consumano molta energia, come i settori industriali inquinanti di acciaio, vetro, carta, ceramica e chimica.

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Non è però uno sconto “secco”, ma un prezzo agevolato in cambio di un impegno verso le rinnovabili. Chi riceve l’energia a prezzo calmierato (65 euro al megawattora per 36 mesi), dovrà restituire in forma di nuova capacità rinnovabile, installando direttamente o tramite terzi nuovi impianti che restituiscano il doppio rispetto all’energia ricevuta.

Le parole del ministro Pichetto

Il ministro Gilberto Pichetto ha commentato con soddisfazione l’ok da parte della Commissione Europea. Secondo il ministro, infatti, questo piano è un vero e proprio modello che riesce a tenere insieme competitività industriale, transizione ecologica e rigore europeo. Spiega:

Il sostegno ai grandi consumatori elettrici non è un privilegio, ma uno strumento per difendere l’occupazione, rafforzare le filiere strategiche e attrarre investimenti. Con questo provvedimento diamo una risposta concreta e sostenibile all’esigenza di prezzi dell’energia più stabili, vincolando l’aiuto pubblico a un impegno industriale e ambientale chiaro: restituire quanto ricevuto con nuova energia pulita.

Come funziona il ritorno energetico green?

Il contratto con GSE è vincolante. Le imprese che riceveranno energia scontata avranno l’obbligo di restituire nuova potenza rinnovabile entro 40 mesi. Al momento le domande ricevute sono 559, per un totale di 70 TWh richiesti e 5 GW previsti.

Nel dettaglio, le imprese che riceveranno energia scontata dovranno, entro 40 mesi, attivare una nuova capacità in fonti energetiche rinnovabili pari almeno al doppio dell’energia ricevuta. La restituzione dovrà avvenire in 20 anni, senza ulteriori aiuti pubblici.

In caso di mancato rispetto dei termini ci saranno diverse conseguenze, come sanzioni penali ed economiche, perché si tratterebbe di una rottura di contratto che ha chiari impegni di tipo economico. Inoltre, si rischia la decadenza del beneficio ricevuto con probabilmente un obbligo di rimborso.

Un aspetto reso chiaro è quello di un eventuale subentro di terzi soggetti, selezionati tramite asta, per realizzare gli impianti mancanti in caso le imprese non riuscissero per tempo ad attuare gli obiettivi.

Il problema della “semplificazione”

Simili progetti nascondono delle insidie. Ci sono rischi reali di non raggiungimento degli obiettivi, tra cui quelli legati alle tempistiche troppo strette. Infatti, entro 40 mesi le imprese dovrebbero costruire impianti per ripagare gli sconti ricevuti. Ma con l’attuale burocrazia sui permessi per le opere, si rischia di non riuscire nei tempi.

Una possibile soluzione, già nell’aria grazie a dei precedenti, è quella di accelerare gli iter autorizzativi introducendo nuove semplificazioni. Ma anche qui ci sono dei rischi, come aggirare le opposizioni locali in nome di un’urgenza energetica e climatica.

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Le conseguenze sono impianti fotovoltaici o eolici in aree non adeguate, come agricole o paesaggistiche sensibili, parchi naturalistici e zone protette. Ma anche una generale scarsa trasparenza nei progetti, che crea conflittualità con le comunità locali. Di esempi, anche recenti, ce ne sono, come il rigassificatore di Piombino o il Tyrrhenian Link di Terna tra Sardegna, Sicilia e Campania.





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