L’Europa delle SaaS corre con l’AI. Ma l’Italia resta ferma ai blocchi di partenza


È uscito il report 2025 “B2B SaaS Rising 100” di Sifted Intelligence, uno dei più autorevoli osservatori sull’innovazione europea. Il documento — sponsorizzato da Sapphire Ventures e Lazard — seleziona ogni anno le 100 startup B2B SaaS più promettenti tra Europa e Israele. L’obiettivo? Individuare le aziende che oggi sono a pochi passi dal diventare i prossimi unicorni da un miliardo di euro.

Ecco le principali tendenze emerse nel 2025:

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1. AI-native: non è una buzzword, è un vantaggio competitivo

Quest’anno, 27 aziende su 100 sono classificate come AI-native. Significa che l’AI non è solo una funzionalità accessoria, ma è il cuore del prodotto. Piattaforme come Lovable (costruzione siti e app tramite prompt), Tessl (sviluppo software automatico) o Legora (AI per studi legali) sono nate direttamente dall’intelligenza artificiale generativa.

Questa nuova categoria ha preso il controllo del ranking: le prime sei posizioni sono tutte occupate da aziende AI-native. È la conferma di un trend irreversibile: il software del futuro è progettato, costruito e distribuito in modo radicalmente diverso.

2. Il centro dell’Europa tech si sta spostando (e diventando più democratico)

Per la prima volta, la Germania supera il Regno Unito nel numero di startup presenti nella lista (26 vs 24). La Francia segue con 22, mostrando una crescita costante. Londra, pur restando la capitale SaaS più popolata (24 su 24 UK-based), sta lentamente perdendo il suo dominio a favore di città come Berlino, Parigi, Amsterdam, Stoccolma e Tel Aviv.

La vera sorpresa è proprio la Svezia: Stoccolma piazza due startup nella top 10 (Lovable e Legora), nonostante il Paese abbia solo quattro startup totali in classifica. Merito di un ecosistema tech maturo, ben connesso e ora sempre più centrato sull’AI.

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3. Meno capitale, più velocità

Nel 2025, le startup del Rising 100 hanno raccolto in media €65,4 milioni. È il livello più basso dal 2022, quando la media era di €96 milioni. Ma questo non è necessariamente un male. Il calo riflette due dinamiche:

  • Condizioni macro più difficili: inflazione, tassi alti e liquidità ridotta.
  • Maggiore efficienza operativa: grazie all’AI, i team sono più snelli, i cicli di prodotto più corti e le operation più leggere.

Un esempio su tutti? Black Forest Labs, startup tedesca di AI generativa, ha raccolto €28,5 milioni in seed round e si prepara già a un funding da €200 milioni. Segnale che si può crescere rapidamente anche con capitali iniziali contenuti.

4. I settori caldi: AI, fintech e enterprise software

Il software per imprese (enterprise) domina la classifica con 30 aziende, seguito da AI-native (27), fintech (24) e climate tech (7). Emergono anche verticali come legaltech, HR tech e supply chain.

Spiccano le soluzioni che promettono automazione, ritorni economici rapidi e usabilità elevata. Il messaggio è chiaro: non vince chi ha la tecnologia più avanzata, ma chi ha il miglior prodotto.

5. Founder giovani, team ambiziosi, cultura “builder-first”

L’età media delle startup in classifica è di soli 3 anni. Il 48% delle aziende è ancora in fase early-stage (pre-Series B). Le nuove leve costruiscono aziende con un approccio bottom-up: codice, prodotto, community. Molti fondatori sono alla loro seconda esperienza o vengono da scaleup di successo (es. ex-Klarna, ex-Stability AI).

Un dato interessante: diverse delle prime startup sono guidate da founder sotto i 30 anni. Un caso emblematico è Max Junestrand, 25 anni, fondatore di Legora.

6. IPO in vista, PE in crescita

Nonostante l’early stage diffuso, molti founder cominciano a ragionare in ottica di exit. Cresce l’interesse verso IPO, e in parallelo si fa spazio il private equity come via alternativa. Anche le operazioni M&A — sia attive che passive — diventano un’opzione strategica concreta per molte delle aziende in crescita.

7. Diversità: passi indietro

Punto dolente: la rappresentanza femminile continua a calare. Solo 8 aziende hanno almeno una fondatrice donna, e appena il 25% dei leadership team è femminile. Sei startup hanno dichiarato un tasso di leadership femminile pari a zero. Numeri preoccupanti, che evidenziano quanto ci sia ancora da fare per costruire un ecosistema inclusivo.

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L’Italia? Assente. E fa male.

Scorrendo la lista delle 100 startup selezionate, emerge un’assenza che pesa come un macigno: nessuna realtà italiana è presente.

Né Milano, né Roma, né Torino. Né un’azienda fondata da italiani all’estero. Niente.

Una notizia che dovrebbe far riflettere — e preoccupare — chi si occupa di innovazione, investimenti e policy nel nostro Paese.

Perché?

  • Il talento c’è.
  • Il capitale (piano piano) sta arrivando.
  • Ma manca ancora la visione internazionale, la scalabilità, la cultura del prodotto e del go-to-market globale.

Mentre altrove si costruiscono piattaforme AI-native con clienti in 20 Paesi entro i primi 12 mesi, in Italia troppo spesso si costruiscono soluzioni che non escono dal confine.

Eppure la domanda è lì, e il terreno — almeno in parte — fertile.

Occorrono più investitori coraggiosi, più founder ambiziosi e meno paura di sbagliare. Servono politiche pubbliche che sostengano la creazione e non la mera sopravvivenza delle imprese. Serve, soprattutto, la voglia di competere a livello globale.

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Non per un motivo simbolico. Ma perché oggi, non esserci in una classifica così, significa non esserci nella partita del software europeo che conta.



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