Governo e Confindustria, amici per la pelle


Nei momenti di difficoltà, è sempre bello sapere di poter contare sugli amici. Deve avere pensato questo la presidente del Consiglio Meloni quando ha partecipato all’assemblea nazionale di Confindustria lo scorso 27 maggio.

Del resto, è dall’inizio della legislatura che le due parti vanno d’amore e d’accordo, specie dopo la crisi inflazionistica che ha visto una politica economica del governo tutta tesa a contenere il costo del lavoro e garantire un margine di profitto accettabile per le imprese.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

E quando si va dagli amici, è buona educazione non presentarsi a mani vuote, e infatti anche stavolta la Meloni ha assicurato che lo Stato si farà ancora una volta carico di garantire un certo livello di profitti per le imprese: si va dalla promessa di dirottare in sussidi alle imprese parte dei fondi PNRR che (prevedibilmente) l’Italia non riuscirà a spendere nei tempi previsti, anche per addolcire l’impatto sulle imprese stesse dei possibili dazi provenienti da oltreoceano, fino all’impegno di allentare ancora quel poco di impegno verso una transizione energetica e ambientale (ormai passata nel dimenticatoio), passando per la possibilità (peraltro tutta da dimostrare) che l’incremento della spesa militare andrà a beneficio anche delle imprese italiane.

Per rendere un minimo realistico questo appuntamento era però essenziale che entrambe le parti in commedia presentassero anche un volto “responsabile” e si mostrassero consapevoli che qualcosa ancora non va, così da creare il pretesto per Confindustria per chiedere ulteriori impegni, identificando all’uopo qualche nuovo nemico.

Cominciamo dal padrone di casa, il presidente di Confindustria Orsini, che è riuscito a dire (incredibilmente rimanendo serio): “Le retribuzioni italiane che perdono potere d’acquisto spingono verso il basso consumi e crescita, e abbattono la dignità della vita e del lavoro. E’ un problema nazionale”. Dunque, il capo dell’associazione delle imprese italiane, che firma i contratti nei quali si stabilisce che i salari devono sistematicamente perdere potere d’acquisto, si lamenta che i salari perdono potere d’acquisto… un corto circuito incredibile, che in realtà nasconde due insidie davvero pericolose.

La prima (non nuova) è l’idea che il livello dei salari vada sostenuto non dalla contrattazione ma dalla fiscalità generale, spostando quindi i relativi oneri dalle imprese allo Stato. È insomma la solita storia del taglio del cuneo fiscale, su cui tante volte siamo intervenuti.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

La seconda insidia è più sottile, ma altrettanto pretestuosa. Secondo Orsini, le imprese associate a Confindustria tutto sommato offrirebbero salari adeguati. Il problema sarebbero i contratti pirata, firmati da sindacati non rappresentativi, contratti che favorirebbero una concorrenza scorretta a tutto danno delle imprese sane di Confindustria. Contro tutto questo è necessario fare fronte comune, dice Orsini, insieme a governo e sindacati responsabili, “altrimenti, se così non sarà, vengano dati a noi imprese gli strumenti adeguati per capire chi è in regola e chi non lo è

Ci sono almeno tre cose da contestare in questo ragionamento. In primis, non è affatto vero che i contratti firmati da Confindustria siano contratti sani, in quanto come già ricordato sono proprio questi contratti che durante la crisi inflazionistica hanno certificato la perdita di salario reale da parte dei lavoratori.

In secondo luogo, è ridicolo che le Orsini si lamenti della concorrenza scorretta da parte di imprese che utilizzano contratti pirata, come se non sapesse che la strategia industriale delle sue imprese “sane” è fondata proprio sulla logica della frammentazione dei cicli produttivi e l’esternalizzazione di servizi proprio a questo tipo di imprese, attraverso una logica di appalti e subappalti favorita da decenni di deregolamentazione del mercato del lavoro (con conseguenze anche in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro che, ricordiamolo, è anche oggetto di uno dei quesiti referendari dell’8-9 giugno).

Infine, è davvero inquietante la proposta finale di Orsini, ovvero che siano le imprese stesse a decidere “chi è in regola e chi non lo è”. Il controllo sull’operato delle imprese è una prerogativa dello Stato, e va sostenuto e monitorato dalle organizzazioni dei lavoratori: le imprese sono i soggetti controllati, non i controllori!

Al presidente Orsini ci permettiamo quindi di dare un consiglio. Se è davvero così preoccupato della caduta dei salari italiani, con conseguente stagnazione della domanda, ha in mano un’arma fantastica… alzasse i salari!

E veniamo ora alla presidente Meloni la quale, capendo che la retorica per cui l’Italia starebbe vivendo una specie di boom economico ormai non regge più, è alla ricerca di una nuova arma di distrazione di massa, individuata nei “dazi interni” nell’Unione Europea.

È evidente che questa strategia, a partire dai termini utilizzati, risponde anche alla necessità di dire qualcosa rispetto alla possibile guerra commerciale con l’amico Trump. Ma cosa sono esattamente questi “dazi interni”? Si tratta generalmente non di tariffe vere e proprie (praticamente escluse nel mercato comune europeo), ma di quel poco di regolamentazione nazionale, differenti procedure amministrative, specifici requisiti ambientali, sovvenzioni sociali e ambientali, etc. sopravvissuti alla furia liberalizzatrice imposta dalla Ue negli ultimi 35 anni.

Insomma, e qui è il paradosso, scagliarsi contro i dazi interni della UE vuol dire chiedere all’Unione Europea di fare sempre più (e sempre peggio) l’Unione Europea, e in misura corrispondente chiedere agli stati nazionali europei di fare ulteriori passi indietro nella propria capacità di intervenire sul mercato.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

La Presidente del Consiglio de “la pacchia è finita” è diventata quindi più europeista della stessa Unione Europea (e non a caso ad ascoltarla a Confindustria c’era la sua amica Metsola, presidente del Parlamento Europeo.

Ma questa prospettiva non è solo paradossale, per l’Italia in particolare è anche inquietante: dopo decenni di deindustrializzazione e competitività affidata unicamente alla svalutazione del lavoro, il tessuto produttivo italiano è composto oramai principalmente da piccole e piccolissime imprese, per le quali quel minimo di regolamentazione nazionale residua funge a volte da barriera di protezione nei confronti di possibili competitor esteri (in primis di altri stati membri della UE).

La battaglia alla cieca contro i dazi interni rischia quindi di travolgere quel poco che resta di imprese domestiche, senza peraltro garantire in nessun modo opportunità e condizioni migliori per i lavoratori.

L’assemblea di Confindustria, pur nella sua stanca ritualità, mette quindi a nudo una volta di più le ipocrisie del padronato e del governo italiano.

– © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO


Ultima modifica:

stampa





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

La tua casa dei sogni ti aspetta

partecipa alle aste immobiliari!

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Assistenza e consulenza

per acquisto in asta