Una storia che poteva finire nell’archivio delle tante ingiustizie quotidiane e che invece è diventata un caso emblematico di difesa dei diritti. Protagonista è il ternano Raffaele Amici, che da oltre 25 anni si batte con coraggio e competenza “contro le distorsioni di un sistema finanziario – dice l’imprenditore – sempre più chiuso in sé stesso, lontano dai cittadini e dalle imprese”.
Al centro della vicenda c’è un famoso fornitore di servizi del sistema bancario che tratta e fornisce alle banche e agli intermediari finanziari i dati ritenuti di natura “pregiudizievole”, cioè quei particolari dati che permettono alle banche di controllare l’andamento finanziario di una persona o di una azienda e che vanno a intaccare irrimediabilmente, in maniera negativa, il cosiddetto “merito creditizio”, producendo un rigetto delle richieste di finanziamento sotto qualsiasi forma a privati e titolari di partita Iva, oltre a generare un effetto dominio nella centrali rischi interbancaria.
Tutto ha inizio con la vicenda personale di un professionista, coinvolto in un contenzioso familiare per la divisione di un immobile condiviso con l’ex moglie. Il caso si conclude in modo consensuale, con la cessione della proprietà e l’estinzione di ogni conflitto. Eppure, un dato – un semplice pignoramento, ormai privo di validità – resta impresso nei circuiti digitali di una banca dati privata, che vengono utilizzati per alimentare report destinati a banche, finanziarie e assicurazioni.
Quel dato, inerte nella realtà, si trasforma in una macchia indelebile nei sistemi informatici del credito: impedisce l’accesso a prestiti, frena le opportunità di impresa, inquina il profilo professionale del soggetto segnalato che, nel frattempo, è anche amministratore di più società.
A questo punto entra in scena Raffaele Amici, da sempre in prima linea per la tutela dei diritti dei cittadini nei confronti del “muro di gomma” del sistema bancario e delle centrali rischi private.
“Una struttura opaca, autoreferenziale, che detta regole, gestisce flussi di dati, influenza la vita economica di persone e aziende senza rendere conto a nessuno, se non a logiche interne e ad algoritmi proprietari”, commenta Amici.
Che con determinazione e caparbietà promuove la richiesta di cancellazione. Davanti ai rifiuti iniziali, non arretra: documenta, contesta, replica punto per punto. E ottiene ciò che sembrava impossibile: la cancellazione definitiva del dato da una banca dati privata attraverso il ricorso al diritto all’oblio con il riconoscimento del diritto alla dignità e all’identità economica di una persona.
“I dati personali non sono numeri, sono persone. E nessuno ha il diritto di lucrarci sopra quando quei dati sono superati, sbagliati o dannosi” afferma Amici, che definisce questa vittoria “non personale, ma collettiva”.
In un mondo dove il credito è regolato da automatismi, da sistemi di scoring e da valutazioni invisibili agli occhi dei diretti interessati, questa battaglia assume dunque un valore enorme. “È la prova che la legge esiste e deve essere fatta rispettare. Un precedente importante, che apre la strada ad altre battaglie. Perché i cittadini non sono solo ‘profili di rischio’. Sono esseri umani, sono famiglie, sono aziende – conclude Amici – E dietro un’azienda ci sono sempre persone con la loro dignità, con una storia, dei diritti. E la forza di farli valere”.
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