di Andrea Cantelmo –
La revoca delle sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea ha segnato un punto di svolta per la Siria. Dopo anni di isolamento e distruzione, il Paese intravede ora la possibilità concreta di una ricostruzione, e la Turchia si prepara a svolgere un ruolo da protagonista in questo nuovo scenario. Le aziende turche infatti stanno guardando con crescente interesse oltre il confine, attratte dalle potenzialità economiche offerte da un mercato che ha urgente bisogno di infrastrutture, energia e beni di prima necessità.
I numeri confermano l’apertura in atto. Solo nei primi mesi del 2025, le esportazioni dalla Turchia alla Siria sono cresciute di oltre il 35%, raggiungendo i 219 milioni di dollari. Si tratta di un dato significativo, che riflette un cambiamento nei rapporti tra i due Paesi e un clima di maggiore cooperazione. Ankara ha già annunciato il proprio impegno a sostenere la ripresa siriana, anche attraverso la fornitura di gas naturale e il supporto di grandi aziende nei settori chiave.
Costruttori, produttori di materiali da cantiere e imprese energetiche turche stanno partecipando attivamente a fiere ed eventi in territorio siriano, come accaduto di recente a Damasco, dove l’interesse dei partner locali è apparso molto elevato. Il settore energetico è tra i più dinamici: colossi come Kalyon GES Enerji Yatirimlari e Cengiz Enerji hanno firmato accordi per l’espansione della rete elettrica, mentre si lavora a piani di investimento congiunti che potrebbero ridisegnare l’intero comparto infrastrutturale. Tuttavia, le difficoltà non mancano.
Nonostante l’ottimismo, le aziende devono confrontarsi con ostacoli di tipo pratico e normativo. Il sistema bancario siriano è ancora fragile e non sempre permette trasferimenti agevoli: in molti casi, le transazioni vengono effettuate tramite intermediari come gli uffici di cambio. A questo si aggiungono problemi legati alla burocrazia, ai trasporti interni e alle recenti impennate dei dazi doganali, che in alcuni casi sono saliti fino al 500%, scoraggiando le importazioni di determinati beni.
Tuttavia, anche con la presenza di questi limiti, l’orientamento resta positivo. Secondo le previsioni, il volume degli scambi tra Turchia e Siria potrebbe triplicare entro il 2026, superando i sei miliardi di dollari. Si parla anche di rilanciare l’accordo di libero scambio sospeso nel 2011, mentre prende forma l’idea di istituire aree industriali comuni, soprattutto nel nord della Siria, per creare occupazione e incentivare la produzione locale con il supporto logistico turco.
La Siria, che oggi affronta la ricostruzione dopo tredici anni di conflitto, viene definita da alcuni operatori economici come “una terra di opportunità”. È una definizione che riflette sia le enormi necessità del Paese, sia l’ambizione di chi intende scommettere sulla ripresa. Per la Turchia, questo processo rappresenta al tempo stesso un’opportunità economica e una sfida geopolitica, con implicazioni che vanno ben oltre il commercio. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se questa nuova fase porterà a una cooperazione duratura, capace di trasformare il passato in una occasione di sviluppo per entrambe le sponde del confine.
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