Ue, Mauro Micillo (Imi-Cib di Intesa Sanpaolo): vanno aiutate le banche europee contro la deregolamentazione di Trump




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Mauro Micillo, chief della divisione Imi Cib di Intesa Sanpaolo, guarda con ottimismo ai prossimi mesi ma avverte: per tornare a crescere servono scelte rapide e coraggiose. In questa intervista a ClassCnbc (video disponibile su www.milanofinanza.it) spiega quali.

Domanda. Micillo, i mercati hanno superato con velocità impressionante lo shock del Liberation Day. È già tornato tutto come prima?

Risposta. Il mondo farà fatica a tornare come prima. Lo ha detto anche Draghi nei giorni scorsi. L’approccio multilaterale ha oggettivamente subito un duro colpo. Ma è vero: la reazione dei mercati è stata sorprendentemente resiliente. La verità è che le borse stanno scontando la probabilità di uno scenario più moderato rispetto al Liberation Day, nel quale alla fine i dazi imposti da Trump troveranno un punto di equilibrio. Sono stati i segnali di tensione – come la famosa asta quasi deserta sui Treasury – a costringere l’Amministrazione a cambiare approccio. Tuttavia il Treasury e il dollaro sono i due asset sui quali non abbiamo visto nuovi massimi e questo è un elemento che va sempre tenuto sullo sfondo.

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D. Sono segnali di una crisi di fiducia verso Wall Street che potrebbe riemergere?

R. Tenuto conto del peso degli asset americani in qualunque benchmark, è possibile che ci siano ulteriori riallocazioni di portafoglio. Ma è difficile ipotizzare che oggi altri mercati abbiano le caratteristiche di liquidità e profondità di quello americano e che siano in grado di accogliere flussi così ingenti di denaro. L’Europa potrebbe essere una valida alternativa, però deve lavorare sulla Capital Market Union. E non vanno sottovalutati i fondamentali.

D. Quali?

R. Il commercio mondiale di beni resta sostanzialmente piatto, con Europa e Asia in leggero progresso mentre il Nord America arretra. Sui servizi c’è più vitalità, ma il quadro resta complesso.

D. Avete stimato l’impatto dei dazi sull’Italia?

R. Sì ed è sorprendentemente contenuto. Un dazio generalizzato al 10% comporterebbe un impatto dello -0,17% sul pil italiano. Al 20% si arriverebbe a -0,4%. Numeri gestibili ma che impongono all’Europa di reagire in modo compatto, anche con strumenti di debito comune. È un’opportunità per rafforzare l’integrazione, non solo un rischio.

D. Gli indici di borsa sono ripartiti. E le altre operazioni come acquisizioni e quotazioni?

R. Le ultime tre settimane sono state complesse, ma dopo una fase di stop la pipeline si è riattivata. Alcune operazioni di m&a con leva erano state rinviate per assenza di condizioni, ma oggi vediamo il mercato tornare liquido e sono fiducioso che si possa recuperare tutto il backlog che si era accumulato. I fondi di private equity e infrastrutturali hanno capitali ingenti ancora da investire. Con una normalizzazione dei tassi, la seconda metà dell’anno può offrire buone opportunità.

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D. Che cosa intende per normalizzazione?

R. In Europa ci sono margini di riduzione più ampi che negli Stati Uniti. La Bce è in una posizione diversa rispetto alla Fed. Ma serve più prevedibilità: l’assenza di forward guidance da parte di Francoforte è un elemento di criticità. Decidere la politica monetaria di volta in volta in base ai dati non consente alle imprese di avere visibilità e di fare ripartire il ciclo degli investimenti. I consumi reggono ma sono gli investimenti a fare la differenza, soprattutto in Italia.

D. Che cosa vede nei piani delle imprese con cui lavorate?

R. Al momento pochi investimenti, e non per mancanza di liquidità. Le banche sono solide e pronte a finanziare, ma l’incertezza blocca le decisioni. Servono politiche chiare e una visione di medio-lungo termine. Siamo in un momento favorevole per ripartire con gli investimenti industriali. Stiamo lavorando a fianco delle aziende proprio in questa direzione.

D. La sostenibilità è ancora una priorità o è passata in secondo piano?

R. Per noi è una scelta strategica, non un trend. Continuiamo a investire, anche se i target regolamentari cambiano. Abbiamo appena concluso in Svezia una delle più grandi operazioni europee di carbon capture e storage. Siamo molto orgogliosi di essere stati sole global coordinator e bookrunner per un deal da 700 milioni, peraltro fuori dall’area dell’euro. Significa che abbiamo competenze e capacità. Ed è un esempio replicabile in Italia. Non si tratta solo di etica: è valore industriale.

D. Quanto contano attività internazionali come questa per Imi Cib?

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R. Circa il 45% dei nostri ricavi viene dall’Italia ma il resto è all’estero. L’attività internazionale ci arricchisce e rafforza anche il servizio al mercato domestico. Portiamo in Italia le best practice di mercati più maturi senza rinunciare al ruolo di banca leader nazionale.

D. La mappa di questi mercati cambia. Trump è andato a promuovere il business nei Paesi del Golfo. Saranno centrali anche per voi?

R. Decisamente. Abbiamo da quasi dieci anni sedi ad Abu Dhabi, in Qatar e a Dubai. Lavoriamo con i grandi fondi sovrani dell’area. Sono investitori pazienti e disponibili a entrare in minoranza. Un caso virtuoso è quello sviluppato in Spagna con Masdar e Endesa: un progetto record nelle rinnovabili. È un’area strategica su cui continueremo a puntare.

D. Le banche Usa sono leader nell’investment banking anche in Europa. Ora Trump le vuole ulteriormente liberare da vincoli regolamentari.

R. Questo è il tema che ci deve più preoccupare. La loro posizione è frutto di capacità ma anche del fatto che hanno potuto sfruttare asimmetrie regolamentari. Così sono uscite vincitori dalla grande crisi finanziaria, che peraltro avevano causato loro. E mentre in Europa siamo sottoposti a una regolazione pervasiva, loro stanno per promulgare una massiccia deregulation per sviluppare ancora le loro banche e far loro anche comprare più Treasury. Mi pare che in Europa ora ci sia la volontà di reagire e questa è sicuramente una opportunità. Speriamo quindi non rimanga solo una minaccia. (riproduzione riservata) 

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