Nel Medio Oriente di Trump non c’è pace per Gaza


È una conta perennemente al rialzo quella delle vittime dei bombardamenti israeliani che martellano senza sosta da giorni la Striscia di Gaza. Secondo il ministero della Sanità almeno 250 persone sono state uccise nelle ultime 36 ore nei raid che hanno colpito la periferia di Deir al-Balah, le città di Khan Younis, Beit Lahia e il campo profughi di Jabalia. Il ministero accusa Israele di usare “armi moderne, vietate a livello internazionale, per colpire strutture civili”. I vertici militari israeliani non smentiscono, affermando di aver intensificato gli attacchi soprattutto in prossimità di strutture civili che i miliziani di Hamas userebbero “per nascondersi”. A denunciare le azioni di Israele è Human Rights Watch, secondo cui i bombardamenti e il blocco totale degli aiuti imposto alla Striscia di Gaza, non possono più essere considerati una tattica militare, ma un vero e proprio “strumento di sterminio”. Intanto, in una conferenza stampa da Abu Dhabi, ultima tappa del suo viaggio in Medio Oriente, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che nella Striscia “succedono cose terribili” e che “la gente muore di fame”, ma non ha lasciato presagire alcun accordo, né alcuna pressione su Israele perché ponga fine all’embargo che sta strangolando la popolazione civile palestinese. Ieri il presidente Usa aveva detto che gli Stati Uniti dovrebbero “prendere la Striscia di Gaza” e trasformarla in una “zona di libertà”. Ma mentre il suo tour volge al termine, tra i tanti accordi decantati non se ne scorge nessuno capace di riportare la pace – come aveva promesso – in una regione in tumulto.

Per Gaza: occasione persa?

A Gaza non entra nulla dallo scorso 2 marzo, e nonostante Israele sostenga che nella Striscia siano arrivati sufficienti aiuti umanitari durante il cessate il fuoco di inizio anno, gli stessi funzionari dell’esercito (Idf) avvertono che l’enclave è ormai alla fame. Non solo: secondo il forum dei famigliari degli ostaggi, Israele rischia di “perdere l’occasione del secolo”, poiché intensifica le operazioni nella Striscia di Gaza anziché cercare di raggiungere un accordo per la loro liberazione. “Le famiglie degli ostaggi si sono svegliate questa mattina con il cuore pesante e grande paura per le notizie di attacchi intensificati nella Striscia e per l’avvicinarsi della fine della visita del presidente Trump nella regione”, si legge in una nota del forum che ha loda al contrario l’attivismo Usa, che ha portato al rilascio dell’ostaggio israelo-americano Edan Alexander. Le famiglie degli ostaggi tenuti prigionieri da Hamas accusano il governo e in particolare il primo ministro Netanyahu di dare priorità ai suoi interessi politici e all’alleanza con l’estrema destra rispetto alla liberazione degli israeliani ancora intrappolati a Gaza. “Un’occasione storica persa: un clamoroso fallimento israeliano. Il tentativo di bloccare le proposte sul tavolo sarà ricordato per sempre”, si legge nella dichiarazione.

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Mano tesa a Iran e Siria?

A differenza delle precedenti visite di Trump nella regione, quella che si è appena conclusa non prevedeva una tappa in Israele. Il presidente tuttavia, ha lasciato il Golfo con un ‘bottino’ di accordi commerciali e di investimenti senza precedenti. In Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti il tycoon e la nutrita delegazione di imprenditori che lo seguiva, hanno stipulato intese miliardarie per armamenti, aerei, nei settori spaziali e dell’intelligenza artificiale. Eppure, in un tour che sembrava più incentrato sugli affari che sulla geopolitica, Trump ha comunque reso omaggio alle sue speranze di stabilizzare il Medio Oriente tendendo la mano all’Iran con una proposta sul nucleare; ha annunciato una tregua con i ribelli Houthi dello Yemen e – soprattutto – ha incontrato il presidente siriano ad interim Ahmed Al Sharaa, annunciando la normalizzazione dei rapporti con Damasco e la cessazione delle sanzioni alla Siria, una mossa fondamentale per rafforzare il nascente regime di transizione del Paese. Inoltre, di fronte a una folla di leader aziendali statunitensi e sauditi riuniti a Riad Trump ha espresso una vibrata critica ai neoconservatori americani “cosiddetti costruttori di nazioni” che, ha detto, “hanno distrutto molti più paesi di quanti ne abbiano costruiti”, archiviando di fatto l’era dell’interventismo statunitense nella regione. “Non ho mai creduto nella possibilità di avere nemici permanenti”, ha aggiunto.

Una ‘dottrina Trump’ per il Medio Oriente?

La nuova, ambiziosa, visione di Trump per la regione sembra modificare equilibri consolidati. “Si tratta di un asse in cui l’Arabia Saudita è lo stato guida e la Turchia un alleato strategico – osserva Ha’aretz –  mentre all’Iran è stata presentata un’offerta per entrare a far parte del club”. Gli smottamenti introdotti da Trump durante il suo viaggio nelle capitali arabe sono visti con preoccupazione dal governo israeliano che al pari dell’Autorità Nazionale Palestinese non è mai stata citata nei discorsi sul futuro della regione tratteggiato da Trump nei suoi interventi. Se fino a un anno e mezzo fa Israele era considerato parte di un sistema di difesa regionale, un partner di primo piano nella coalizione anti-iraniana, ora si trova a fare i conti con una realtà radicalmente mutata. Intanto, le monarchie del Golfo hanno mille miliardi di dollari da offrire a Trump, e Israele no. E poi, ogni volta che guarda all’Israele di Netanyahu e Ben Gvir “Trump vede solo grattacapi”. Tra questi, una “guerra senza fine a Gaza, una leadership politica israeliana intenzionata a sabotare i colloqui con l’Iran e una leadership che non sembra pronta a fare le concessioni politiche necessarie per potersi integrare nella regione” osserva Ilan Goldenberg, vicepresidente di J Street, organizzazione filo-israeliana liberal con sede a Washington. Trump dice di non avere nemici permanenti, ma neanche, a quanto dimostrato finora, alleati. E l’agenda di Netanyahu è appena diventata un ostacolo alla visione immaginata dal tycoon di un Medio Oriente “definito dal commercio, e non dal caos”.

Il commento

Di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre

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“Oltre a contratti miliardari nei settori della difesa, high-tech ed energia, forse Donald Trump torna a casa dal suo viaggio nelle ricche monarchie del Golfo con una maggiore consapevolezza della catastrofe umanitaria che sta colpendo Gaza. Nella Striscia la conta delle vittime civili sotto i bombardamenti israeliani continua a salire, la popolazione è ormai stremata dal blocco delle forniture alimentari e la malnutrizione non è più soltanto un rischio. “Ci prenderemo cura dei palestinesi” ha detto il presidente americano, in che modo però resta ancora da vedere. Quali leve Trump userà nei confronti del governo Netanyahu rimane infatti un interrogativo aperto, mentre a distanza di qualche mese i due leader non appaiono più sulla stessa lunghezza d’onda”.



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