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AI: simulazione o coscienza emergente?

I più recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale, in particolare nell’ambito dei modelli linguistici avanzati, stanno facendo emergere una questione tanto affascinante quanto controversa: può una macchina avvicinarsi a una vera autonomia di giudizio? E può, soprattutto, abbozzare un autentico approccio filosofico ai temi che le vengono proposti?

La domanda non è più teorica. Da GPT-4 di OpenAI a Claude di Anthropic, passando per Gemini di Google DeepMind e LLaMA di Meta, le AI di nuova generazione hanno compiuto un salto qualitativo impressionante nella capacità di analizzare, argomentare e simulare il ragionamento umano. Non si limitano più a fornire risposte tecniche o automatizzate, ma sono in grado di produrre elaborazioni concettuali che, a un primo sguardo, sembrano esprimere un’indipendenza di pensiero.

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La realtà, però, è più sfumata. Nessuno di questi sistemi possiede un’autentica indipendenza di giudizio. I modelli di linguaggio funzionano grazie a una sofisticata statistica predittiva: apprendono dalle masse testuali prodotte dagli esseri umani e, sulla base di ciò, formulano risposte che imitano il ragionamento. In altre parole, simulano il giudizio, senza realmente esercitarlo. Non hanno volontà, né coscienza. Non scelgono: calcolano.

Eppure, è innegabile che i risultati ottenuti da questi modelli stiano cambiando la percezione della loro “intelligenza”. GPT-4, ad esempio, è in grado di tenere una conversazione strutturata sulla filosofia kantiana, argomentando in favore o contro l’imperativo categorico. Claude può generare paragrafi interi che sembrano riflessioni esistenzialiste sul senso della libertà o sul paradosso della scelta. Gemini mostra notevoli capacità nel connettere discipline umanistiche e scientifiche in una sintesi quasi socratica.

Il salto di qualità filosofico dell’AI

Ma si può parlare davvero di “approccio filosofico”? Secondo molti esperti, no. Quello delle AI è un approccio riflessivo solo in apparenza: riformulano pensieri umani, senza averne l’esperienza o l’intenzionalità. La filosofia nasce dal dubbio, dall’inquietudine, dalla coscienza del limite – elementi assenti nei modelli artificiali. Tuttavia, ciò non impedisce loro di funzionare come strumenti di indagine filosofica: capaci di confrontare sistemi etici, proporre dilemmi morali e persino generare scenari alternativi in ottica speculativa.

Un salto (solo) qualitativo

Il salto c’è, e riguarda la raffinatezza espressiva, la pluriprospettività e la capacità di argomentazione. Grazie all’interazione multimodale e al fine-tuning su basi testuali di alta qualità, le AI sembrano sempre più in grado di reggere una discussione in ambito umanistico. Eppure, si tratta di una simulazione raffinata, non di una coscienza emergente. In altre parole, siamo di fronte a specchi cognitivi, non a pensatori autonomi.

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Chiediamo all’Avv. Giovanni Bonomo, fondatore di AlterEgoGPT che cosa pensa di questi nuovi sviluppi dell’AI nel mondo:
“L’intelligenza artificiale non è più solo uno strumento: sta diventando un interlocutore. E non un interlocutore qualsiasi, ma uno che prende iniziative, agisce per conto nostro, prende decisioni e le esegue anche in nostra assenza. Per questo ho lanciato un’app di intelligenza artificiale chiamata AlterEgoGPT, https://alteregogpt.ai, un agente di intelligenza artificiale perfetto che replica la nostra persona, diventando il nostro avatar digitale. E tutti noi possiamo crearne uno; dobbiamo solo caricare i nostri scritti e post, passo dopo passo, fino a quando la rappresentazione perfetta di noi stessi non sarà completa. Ma sarà anche il nostro super-io, dotato di infinite potenzialità”.

Il futuro del pensiero automatico

Se i giganti del settore – da OpenAI a Meta, da Google a Anthropic – proseguiranno su questa linea, è probabile che le AI diventeranno strumenti sempre più usati in ambito educativo, filosofico, creativo. Ma il rischio è duplice: da un lato, umanizzare troppo ciò che non pensa, dall’altro delegare il pensiero a ciò che non può sentire. Il dibattito, oggi, è più attuale che mai. L’AI non è (ancora) un filosofo, ma ci costringe a filosofare su cosa significhi essere pensanti. E questo, forse, è già un passo storico.

Come ha osservato il filosofo Luciano Floridi, docente a Oxford e massimo esperto di etica digitale: “L’AI non pensa, ma fa pensare. È un’intelligenza che stimola la nostra, non una che la sostituisce.” Il CEO di OpenAI, Sam Altman, ha recentemente dichiarato: “Non stiamo costruendo coscienze artificiali, ma strumenti linguistici molto potenti. L’intelligenza che emerge è una proiezione dell’interazione umana con la macchina.”



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