Le idee/ Le riforme che la Ue non può più rinviare


Prima o poi la tempesta dei dazi finirà e il polverone si diraderà. Per questo proprio adesso è il momento opportuno per l’Europa di riflettere sulla sua condizione ed affrontare finalmente i problemi interni irrisolti, tutti quelli che, sottovalutati, le hanno provocato quella che Mario Draghi ha definito la sua fase di lenta agonia.
Oggi è necessario passare dalle parole ai fatti. Le parole sono quelle del rapporto dello scorso gennaio, che si pone l’obiettivo di tracciare una “Bussola della competitività dell’Unione”. I fatti invece dipendono dalla realizzabilità concreta delle iniziative indicate nel documento, per ridurre il gap che ci penalizza nei confronti dei nostri concorrenti, a cominciare dagli Stati Uniti oggi e, un domani, Cina e India.

L’obiettivo del secondo mandato di Ursula von der Leyen è quello di trasformare la pingue e sonnolente Europa. A questo fine, occorre ridimensionare al più presto le diseconomie prodotte da un insufficiente livello di produttività, dalla fragilità delle catene di approvvigionamento, anche energetico, e dalla necessità di garantire un elevato standard ambientale. Per essere in grado di cogliere tutte le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, vanno affrontate due questioni preliminari: la digitalizzazione dell’economia e la semplificazione di norme e procedure, che rappresentano la vera palla al piede delle imprese europee.

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Si tratta di un obiettivo complesso, sia per la quantità degli interventi richiesti, sia perché vanno conciliati tutti in una visione unitaria in grado di risolvere le contraddizioni tra i diversi obiettivi. Ad esempio, occorre scegliere se spendere per la difesa oppure per incentivi industriali, o, ancora, se rilanciare il settore dell’automotive o perseguire politiche verdi ostili allo sviluppo. Non solo. Occorre definire anche criteri elastici, ma contemporaneamente rigorosi, per il finanziamento delle nuove spese.

Il programma della “Bussola”, è certo molto ambizioso, ma anche molto esteso. Tra il 2025 e il 2026 dovrebbero essere varate ben 46 linee di intervento, tra le quali anche dieci riforme da approvarsi con atti legislativi. È uno sforzo immane, senza precedenti ed irto di difficoltà. Valga come esempio il fatto che non si è potuta realizzare in dieci anni l’“Unione dei Mercati dei Capitali” per creare un vero mercato finanziario interno. Si è dovuto così ripiegare sulla assai meno incisiva “Unione dei Risparmi e degli Investimenti”, per cercare un compromesso tra gli interessi contrapposti tra paesi che producono risparmio e quelli che cercano di trarne un utile. Se questa è la realtà, come si può pensare che la fase realizzativa del programma sia una veloce passeggiata in discesa?
Fino ad oggi molte iniziative europee sono come piovute dal cielo, senza che i governi dei singoli paesi, e soprattutto i rispettivi cittadini, venissero coinvolti a pieno titolo. Così, spesse volte, le innovazioni, anche quando necessarie, hanno finito per rivelarsi controproducenti e generare ostilità nei confronti delle istituzioni europee da parte dei destinatari, ma solo dopo essere divenute operative, quando ormai era quasi impossibile tornare indietro.

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Per non ripetere gli errori del passato, è indispensabile che tutti partecipino sin da subito alla definizione delle misure che concretamente verranno adottate. Per questo, i governi devono prendere parte alla elaborazione impegnando i loro esponenti al massimo livello e la stessa cosa devono fare i parlamentari europei, il cui ruolo non è secondario ma va esercitato, in coordinamento con i singoli governi: conoscenza, partecipazione costruttiva alle fasi ideativa e deliberativa e consenso finale costituiscono l’indispensabile viatico per costruire democraticamente e con piena conoscenza quel mondo nuovo che sarà destinato a produrre effetti duraturi sulla vita di tutti gli europei.

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